Caso Meta e imponibilità IVA delle operazioni permutative

17 Aprile 2025
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Meta torna sotto la lente di ingrandimento per la gestione dei dati personali, questa volta non violati, ma utilizzati quali strumento di corresponsione per l’utilizzo della piattaforma. Tali dati sono diventati la nuova moneta di scambio e ciò ha portato alla contestazione fiscale nostrana in tema di imposte indirette, nella specie IVA, applicabile qualora si sussumano i dati personali quali effettivo corrispettivo.

Il caso che fa discutere ha origini molto recenti, ancorché di dati personali quali potenziale mezzo di scambio si discuta da tempo in dottrina.

Nel marzo 2025 le autorità fiscali italiane hanno notificato al colosso digitale una serie di avvisi di accertamento relativi all’omessa dichiarazione e al mancato versamento dell’Iva tra il 2015 e il 2021, per un importo miliardario.

Ad avviso dell’Agenzia, l’operazione che si sostanzia nella cessione dei dati personali come contropartita dell’accesso ai servizi offerti dal social network, costituirebbe un pagamento in natura e non in denaro, operazione che rientrerebbe, a pieno titolo, quale prestazione di servizi imponibile ai fini IVA. Secondo l’Agenzia, pertanto, la fattispecie de quo altro non sarebbe che una “permuta di beni differenti” soggetta alla medesima imposta[1].

La conclusione proposta dall’Agenzia implica importanti valutazioni circa la qualificazione dell’operazione quale permuta, oltre che sul valore da attribuire ai dati, con decisive ricadute sull’effettiva imponibilità ai fini IVA.

Per quanto attiene al primo aspetto, la Corte di cassazione, nel qualificare le operazioni permutative, attribuisce un ruolo preminente al vincolo di sinallagmaticità, inteso come il rapporto di interdipendenza tra le prestazioni scambiate[2]. Tale vincolo non viene meno nel caso in cui ci si trovi in presenza di un disallineamento di valore tra le prestazioni, poiché, da un lato, la scelta delle parti di concludere un contratto permutativo implica l’inserimento del sinallagma nella causa del negozio, e, dall’altro, la valutazione del valore delle reciproche prestazioni è rimessa – nei limiti stabiliti dalla legge – all’autonomia delle parti.

Analogamente si è espressa l’Agenzia delle Entrate, ad avviso della quale dette operazioni si caratterizzano per la natura della controprestazione che non consiste nel pagamento di un prezzo in denaro, ma nella sinallagmaticità dello scambio di un “bene contro un bene (o servizio)” o di una “prestazione di servizi contro altra prestazione (o bene)”.[3]

Il secondo e il terzo aspetto (il valore dei dati e l’imponibilità ai fini IVA) sono intrinsecamente interconnessi, a mente del combinato disposto degli artt. 13, co. 2, lett. d), e 14 del D.P.R. 633/72.

A tal proposito, l’art. 13 prevede che la base imponibile delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi è costituita dall’ammontare complessivo dei corrispettivi dovuti al cedente o prestatore secondo le condizioni contrattuali.

Nelle operazioni permutative, i corrispettivi sono costituiti dal valore normale dei beni, per tale intendendosi, ai sensi dell’art. 14 “l’intero importo che il cessionario o il committente, al medesimo stadio di commercializzazione di quello in cui avviene la cessione di beni o la prestazione di servizi, dovrebbe pagare, in condizioni di libera concorrenza, ad un cedente o prestatore indipendente per ottenere i beni o servizi in questione nel tempo e nel luogo di tale cessione o prestazione”.

Pertanto, resta aperta la questione circa l’intrinseco valore dei dati personali.

Sul punto, il Consiglio di Stato[4] ha accertato la patrimonializzazione del dato personale anche in assenza di un corrispettivo monetario, poiché l’insieme dei dati conferiti dagli utenti costituisce un patrimonio informativo cui è riconosciuto un valore economico.

Negli stessi termini la Corte di Giustizia UE[5] ha sancito che, qualora il corrispettivo della prestazione non sia monetario, ma in natura, tale corrispettivo deve essere suscettibile di valutazione economica e, laddove ciò non risulti praticabile, il valore attribuito sarà pari al costo che il fornitore ha sostenuto per l’erogazione del servizio che viene reso gratuitamente

A tale conclusione non sembra però allinearsi il Comitato IVA della Commissione Europea che, al contrario, ritiene che, quando un individuo desidera utilizzare un servizio informatico offerto senza corrispettivo monetario, è tenuto ad accettare i termini e condizioni del fornitore, che includono il consenso all’utilizzo dei propri dati personali. In questo senso, l’utente non agisce con l’intento di svolgere un’attività economica, né utilizza strumenti tipici di tale attività[6]. Di conseguenza, la trasmissione dei dati, non costituendo un’attività economica, non attribuisce valore ai dati e, pertanto, non rientra tra le prestazioni di servizi imponibili ai fini IVA.

Alla luce dei suddetti primi spunti è indubbio che, ad oggi, la contestazione avviata dall’Agenzia delle Entrate risulta controversa e di difficile inquadramento; se Meta deciderà di rinunciare agli strumenti di dialogo con l’Agenzia e optare per l’avvio di un giudizio, magari coinvolgendo i giudici unionali, la questione assumerà un’importanza transnazionale che potrebbe comportare conseguenze non solo tributarie ma anche politiche nei rapporti tra Stati Uniti e Unione Europea.

G.A. e D.R.


[1] Art. 11, D.P.R. 633/72: “Le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate in corrispettivo di altre cessioni di beni o prestazioni di servizi, o per estinguere precedenti obbligazioni, sono soggette all’imposta separatamente da quelle in corrispondenza delle quali sono effettuate”.

[2] Cass. n. 2147/2020.

[3] Agenzia delle Entrate, risposta ad interpello n. 552/2020.

[4] Consiglio di Stato, sent. n. 2631/2021, a seguito dell’indagine di AGCM che aveva contestato a Meta Platforms Inc. e a Meta Platforms Ireland Ltd. l’esercizio di una pratica scorretta, basata sull’assunto che i dati personali, le preferenze dei consumatori e altri contenuti generati dagli utenti possiedano un certo valore economico.

[5] Cfr. Corte di Giustizia UE, sentenza del 19 dicembre 2012, Orfey Balgaria, C-549/11.

[6] Value Added Tax Committee, Working paper n. 958 del 30 ottobre 2018, “Condizioni per l’esistenza di un’operazione imponibile quando i servizi Internet sono forniti in cambio dei dati degli utenti”.

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