Dopo un lungo periodo di offshoring, passato a osservare imprese italiane che delocalizzavano la propria attività produttiva in contesti economicamente più vantaggiosi, l’Italia ha cercato di correre ai ripari con l’introduzione, in occasione della riforma fiscale (art. 6 del D.lgs 209/2023), di un regime fiscale attrattivo di reshoring per le imprese che rimpatriano attività economiche extra-UE. La novella legislativa, che si sostanzia nell’abbattimento del 50% della base imponibile IRES e IRAP prodotta dall’attività economica extra-UE rimpatriata, presta tuttavia il fianco a diverse valutazioni critiche, prima fra tutte la compatibilità con la disciplina europea degli aiuti di Stato, prevista dagli artt. 107 e 108 TFUE. E infatti, consapevolmente, è la disposizione introduttiva stessa a prevedere (comma 5) che l’efficacia dell’agevolazione sia subordinata alla preventiva autorizzazione della Commissione Europea. Sullo sfondo rimane il tema della disparità di trattamento che verrebbe ad ingenerarsi nei confronti dei soggetti nazionali che non hanno mai delocalizzato in Paesi extra-UE, sulla base dei principi costituzionali interni di uguaglianza (art. 3 Cost.) e di capacità contributiva (art. 53 Cost.). Del resto, non è la prima volta che si assiste a regimi attrattivi (ndr. per persone fisiche) di simil portata giustificati - nel caso di docenti e ricercatori - dal contributo che questi possono dare allo sviluppo del Paese. Tuttavia, se è vero che i benefici per le persone fisiche non implicano l’attivazione dei presidi legislativi europei in materia di aiuti di Stato, è altrettanto vero che rimane da valutare la compatibilità del regime con i principi costituzionali di equità fiscale e capacità contributiva. Nel caso di reshoring, con la previsione di un abbattimento della base imponibile e conseguente riduzione del quantum da assoggettare a tassazione, si pongono, tuttavia, entrambi i problemi. Per quanto attiene alla prima questione, in assenza di una vera e propria armonizzazione fiscale in Europa (si rammenta che i metodi di valutazione sono di matrice giurisprudenziale), i singoli Stati membri sono liberi di stabilire le proprie politiche tributarie che, tuttavia, non possono, e non devono, tradursi in un vantaggio competitivo distorsivo. La riduzione delle imposte per chi rilocalizza potrebbe essere considerato un supporto pubblico illegittimo, in grado di alterare la concorrenza. Per quanto attiene alla seconda valutazione, al pari della contestazione sollevata per il regime dei neo-residenti, non si può escludere che l’istituto del reshoring potrà essere oggetto di una contestazione per disparità di trattamento. D’altra parte, la proposta di premiare le imprese che rientrano, senza alcun beneficio simile per quelle che hanno scelto di mantenere la produzione in Italia, solleva questioni di giustizia e di equità fiscale. L’idea che si premi fiscalmente chi ha beneficiato dei vantaggi della delocalizzazione e che ora rimpatria grazie a un incentivo fiscale, mentre le imprese che sono rimaste fedeli alla produzione nazionale restano fuori da qualsiasi agevolazione, può essere giudicata iniqua. Anche sollevando il tema, certamente valido, del rilancio economico del Bel Paese e dell’utilità che il reshoring sicuramente porterebbe per l’economia nel lungo termine, ciò potrebbe apparire come un discrimine nei confronti di società da sempre interamente radicate nella penisola. Se si volesse davvero incentivare la rilocalizzazione, senza incorrere in rischi di distorsione della concorrenza o creazione di disuguaglianze, sarebbe opportuno estendere le agevolazioni fiscali (o riconoscere benefici ad hoc) anche a quelle realtà che, pur in un contesto di crescente difficoltà, hanno scelto di mantenere la produzione in Italia. In tal senso, si potrebbero evitare le problematiche relative agli aiuti di Stato, dal momento che la misura sarebbe di carattere generale e non selettivo e, di concerto, verrebbe rispettato il principio di equità, evitando il rischio di incostituzionalità legato alla disparità di trattamento tra le imprese. In attesa del parere della Commissione europea che, inspiegabilmente, tarda ad arrivare, si potrebbe riflettere su un reshoring che non si limiti a favorire solo una parte del sistema produttivo, o, ancora, su un sistema incentivante di matrice Europea. Ciò che sicuramente si può concludere ad oggi è che, anche in caso di luce verde da parte dell’UE, rimarrebbero da risolvere ulteriori problematiche circa le modalità con cui il rimpatrio debba essere operato, così da non alterare i difficili equilibri che nel tempo si sono consolidati in materia di transfer pricing, disallineamenti da ibridi, cfc, etc.. A.M. D.R.