Relazione giurata di stima e riporto delle perdite fiscali

Il Decreto IRPEF-IRES (D.lgs. n. 192/2024), in attuazione dell’art. 6 della Legge Delega n. 111/2023, è intervenuto modificando l’art. 84, co. 3-ter, del D.P.R. 917/86 (TUIR), per il riordino del regime di compensazione delle perdite fiscali, incidendo sul limite quantitativo del riporto delle perdite e di fatto unificando la disciplina ordinaria del riporto perdite, con quella dedicata alle operazioni straordinarie ex artt. 172 (fusione) e 173 (scissione) del TUIR.

Nella formulazione originaria dell’art. 172, co. 7, del TUIR, era prevista la possibilità - per le società in perdita che partecipano alla fusione, compresa la società incorporante - di portare in deduzione le perdite fiscali nell’esercizio successivo a quello in cui le stesse sono maturate per la parte del loro ammontare che non eccede l’ammontare del rispettivo patrimonio netto  quale risulta dall’ultimo bilancio [..] senza tenere conto dei conferimenti e versamenti fatti negli ultimi ventiquattro mesi anteriori alla data cui si riferisce la situazione (equity test)

Invero, già la stessa Amministrazione Finanziaria - in costanza di interpello disapplicativo - aveva superato, in diverse occasioni, il riferimento al puro equity test, in luogo di criteri alternativi quali, a titolo esemplificativo, l’evoluzione degli indici di bilancio, la proiezione della capacità di riassorbire le perdite, l’impiego effettivo di dipendenti, le dotazioni patrimoniali e il valore del capitale economico[1].

In tal senso, il legislatore ha modificato il dettato normativo dell’art. 172, co. 7, del TUIR, e ha ex novo inserito la medesima previsione nel comma 3-ter dell’art. 84, affiancando al precedente equity test “contabile” la possibilità del riporto delle perdite secondo il (presumibilmente maggiore) valore economico del patrimonio netto (equity test “economico”) a sua volta (anch’esso) ridotto di un importo pari al rapporto tra

a condizione che tale valore risulti da una relazione giurata di stima redatta da un soggetto designato dalla società.

La novella legislativa ha inteso dare ampio respiro all’idoneità prospettica di una società di generare utili a seguito del perdurante svolgimento dell’attività statutaria scarsamente rappresentata dal valore contabile.

Residua, in entrambe le disposizioni dell’art. 84 e 172 del TUIR, la statuizione secondo cui si applica quale limite quantitativo per il riporto delle perdite quello (residuale) del patrimonio netto contabile nel caso in cui non sia presente la relazione giurata di stima che rappresenta, quindi, il discrimine per compensare le perdite secondo un parametro presumibilmente migliorativo e più rappresentativo del valore effettivo del patrimonio sociale rispetto al semplice valore contabile dello stesso.

In tale contesto, diventa essenziale il ruolo della perizia giurata di stima (come già è per altre norme, tra cui, a titolo esemplificativo l’art. 7 della L. 448/2001) e la valutazione circa l’effettiva valenza della stessa nell’ottica della sua sindacabilità da parte dell’Amministrazione Finanziaria.

Mutuando le valutazioni da precedenti arresti giurisprudenziali della Corte di Cassazione con riferimento alla rideterminazione del valore di acquisto dei terreni edificabili (art. 7 della L. 448/2001) ed, ancora, con riferimento alla rideterminazione dei valori di acquisto di partecipazioni (art. 5 della L. 448/2001), la previsione dell’esperimento della perizia giurata non parrebbe incidere in alcun modo sul generale potere dell’ufficio di verificare, come ogni altra, anche la dichiarazione fiscale e, quindi, di accertare che il "valore" del bene" sia comunque diverso (perciò non solo maggiore ma anche minore, se questo rivela l’esistenza di ricchezza sottratta a tassazione) da quello "determinato sulla base" della "perizia giurata di stima" del consulente scelto, in totale sua insindacabile discrezionalità, dal contribuente[2].

Invero, la possibilità di optare per la relazione giurata di stima, che riporta in calce il verbale del giuramento di “aver bene e fedelmente adempiuto alle funzioni affidategli al solo scopo di far conoscere la verità”, reso dal perito dinnanzi al cancelliere di un qualsiasi ufficio giudiziario, ai sensi dell’art. 5 del R.D. 9.10.1922, n. 1366, ovvero dinnanzi a un notaio, ai sensi dell’art. 1, n. 4), del R.D.L. 14.7.1937, n. 1666, ha il solo e precipuo scopo di assoggettare il consulente tecnico nominato dalla parte privata alla medesima responsabilità penale del consulente tecnico d’ufficio nominato dal giudice, senza attribuire, in definitiva, alla perizia redatta da detto consulente la forza di atto pubblico, pertanto fidefacente in toto.

La Suprema Corte ha quindi sancito che la perizia giurata di stima non limita il potere di accertamento dell’Amministrazione Finanziaria[3] che conserverebbe il potere di accertare se il valore risultante dalla perizia corrisponda o meno alla realtà e procedere a rivalutare il valore di riferimento motivando debitamente, sia sotto il profilo soggettivo che oggettivo, la scelta operata[4].

Se quindi, da un lato, la perizia redatta da un consulente di parte parrebbe sindacabile dall’Amministrazione finanziaria in fase accertativa, resta da valutare se, sul piano probatorio in ambito procedimentale, la stessa possa esplicare più ampi effetti, a contrasto della (differente) pretesa dell’Amministrazione Finanziaria.

A.M. e D.R.


[1] Cfr. Risposte ad interpello n. 253/2022, n. 76/2022 e n. 124/2022.

[2] Cfr. Cass. n. 9109/2012.

[3] Cfr. Cass. n. 19456/2016, n. 29184/2017 e n. 19351/2019.

[4] Cfr. Cass. n. 13636/18.

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