L’Agenzia delle Entrate si è recentemente espressa in tema di riorganizzazioni societarie fornendo, rispetto al passato, una (nuova) chiave interpretativa, pro-contribuente, in merito alla deducibilità degli interessi passivi derivanti dal finanziamento bancario all’uopo contratto. In tale prospettiva, è stato in particolare chiarito che la comprovata simmetria nel trattamento fiscale riservato al finanziato e al finanziatore verrebbe ad escludere la configurabilità di indebiti vantaggi fiscali, legittimando la deducibilità degli interessi entro i limiti quantitativi prescritti all’art. 96 del TUIR. Per comprendere l’effettiva portata del principio evocato dall’Agenzia, è opportuno ricordare come l’esaminanda questione sia stata per decenni al centro di un’accesa disputa interpretativa. In una fase risalente del dibattito, l’orientamento giurisprudenziale (allora) prevalente sosteneva la fondatezza delle contestazioni erariali, elevate in punto di mancata inerenza degli interessi originati da finanziamenti non destinati a generare specifici ricavi e reddito d’impresa.[1] Nell’ultimo decennio si è tuttavia registrato, in seno alla Suprema Corte, un trend di segno opposto che depone, ai fini della deducibilità, per l’irrilevanza del principio di inerenza. Valorizzando la formulazione letterale delle norme (artt. 96 e 109 del TUIR), nei più recenti pronunciamenti è stata infatti sostenuto che “gli interessi passivi sono oneri generati dalla funzione finanziaria, che afferiscono all'impresa nel suo essere e progredire, e dunque non possono essere specificamente riferiti ad una particolare gestione aziendale o ritenuti accessori ad un particolare costo”.[2] Per lungo tempo, la predetta inversione di rotta della giurisprudenza non ha trovato recepimento nella prassi amministrativa. L’Agenzia si è invero limitata a fondare le proprie contestazioni sulla base di una diversa argomentazione, rappresentata dalla (presunta) natura abusiva ex art. 10-bis L. 212/2000 delle operazioni finanziarie prive di valide ragioni economiche e dunque finalizzate al solo conseguimento di un risparmio d’imposta derivante dalla deduzione degli oneri finanziari. Nel delineato contesto, vengono, da ultimo, ad inserirsi i chiarimenti forniti dall’Agenzia delle Entrate con la risposta ad interpello n. 169/2024, i quali sembrerebbero mitigare la rigida impostazione sinora assunta dalla parte erariale. Nel caso prospettato, l’Agenzia era stata chiamata ad esprimersi sulla sussistenza di un possibile indebito vantaggio fiscale ascrivibile alla deducibilità degli interessi passivi relativi a un finanziamento bancario concesso a due holding italiane per acquisire le azioni di una società già partecipata. Per quanto qui di interesse si rileva che, a supporto del responso positivo, è stato evocato in risposta il principio della simmetria di trattamento fiscale tra gli interessi (passivi) deducibili da parte delle società finanziate e gli interessi attivi conseguiti dagli istituti di credito eroganti. L’interpretazione dell’Agenzia risulta peraltro coerente ai chiarimenti espressi con la circolare n. 6/E del 2016[3] in relazione alle operazioni di leverage buy out, per le quali il “vantaggio fiscale” derivante dal push down del debito appare il fisiologico epilogo dell’acquisizione mediante indebitamento. In conclusione, non vi è alcun dubbio sul fatto che il richiamato principio della simmetria fiscale, ove confermato in futuro, potrebbe rappresentare un valido ausilio agli interpreti per dirimere talune delle controversie insorte in tema di deducibilità degli interessi passivi, come ad esempio in ipotesi di finanziamenti ottenuti per disporre la distribuzione di dividendi (“dividend recap”) o ancora di leveraged buy out con reinvestimento da parte dei soci cedenti. G.S. e D.R. [1] Ex plurimis, Cass., n. 27786/2018; n. 4115/2014; n. 22564/2012; n. 24930/2011. [2] Cfr. Cass., n. 19430/2018, n. 27637/2021, n. 20189/2022, e n. 17875/2022. [3] Nella richiamata circolare l’Agenzia delle entrate ha difatti chiarito che “che “Le operazioni di MLBO vedono nella fusione (anche inversa) il logico epilogo dell’acquisizione mediante indebitamento, necessario anche a garantire il rientro, per i creditori, dell’esposizione debitoria. Di fatto, la struttura scelta, rispondendo a finalità extra-fiscali, riconosciute dal Codice Civile e, spesso, imposte dai finanziatori terzi, difficilmente potrebbe essere considerata finalizzata essenzialmente al conseguimento di indebiti vantaggi fiscali.”