Acquisto di azioni proprie preventivamente rivalutate: l’Agenzia delle Entrate conferma l’abuso del diritto

Con la risposta ad interpello n. 195/2024 l’Agenzia delle Entrate ha ravvisato nell’acquisto di azioni proprie, in precedenza rivalutate dai soci, gli estremi di una fattispecie abusiva ex art. 10-bis L. 212/2020, sull’assunto che la sequenza delle operazioni prospettata, sebbene manifestamente non preordinata al loro annullamento, avrebbe avuto il solo fine di evitare l’assoggettamento al più gravoso regime impositivo dei redditi di capitale.

Il caso

Il ricorso all’istituto della rivalutazione fiscale delle partecipazioni da parte di persone fisiche, inserito nel contesto di complesse riorganizzazioni societarie, è da anni al centro di un accesso dibattito che vede schierati su fronti opposti l’amministrazione finanziaria e la giurisprudenza, in ordine alla natura elusiva di tali operazioni. 

Nel caso prospettato, l’Agenzia delle Entrate è stata chiamata dagli Istanti (la società Alfa e i suoi soci) ad esprimersi sui potenziali profili abusivi di una complessa operazione di compravendita di partecipazioni, articolata nelle seguenti fasi:

  1. inserimento nello statuto sociale della società venditrice Alfa di apposita clausola convenzionale di recesso in caso di conferimento di ramo d’azienda;
  2. costituzione di Newco, seguita dal conferimento di un ramo d’azienda di Alfa;
  3. cessione della partecipazione totalitaria di newco a favore della società acquirente Beta;
  4. recesso dei soci uscenti da Alfa, realizzato mediante l’acquisto di azioni proprie rivalutate ex art. 5 legge n. 448/2001, utilizzando a tal fine le disponibilità liquide derivanti dalla cessione della partecipazione in newco.

La soluzione

Nonostante l’unitarietà del disegno riorganizzativo prospettato, l’Agenzia delle Entrata ha preceduto a svolgere l’analisi antiabuso in maniera frazionata, isolando l’operazione di recesso (Fasi 1 e 4) dalla vendita delle partecipazioni per il tramite di newco (Fasi 2 e 3), e avendo così buon gioco a individuare nelle Fasi 1-4 tutti i profili elusivi di cui all’art. 10-bis, isolando di fatto il contesto in cui l’operazione di riorganizzazione si inseriva e risolvendo ab origine l’indagine sull’esistenza o meno di valide ragioni extrafiscali.

Al tal riguardo, analizzando così le sole Fasi 1 e 4 dell’operazione, è stata preliminarmente richiamata la circolare del 22 aprile 2005, n. 16, la quale aveva chiarito che il trattamento fiscale delle somme percepite in caso di recesso dipende dalle precipue modalità di esercizio del diritto.

In merito, l’Agenzia ha ricordato come il valore delle partecipazioni non quotate “affrancate” possa essere utilizzato solo in occasione del recesso atipico (i.e. cessione a titolo oneroso delle partecipazioni) che determina in capo al socio un reddito diverso ex art. 67, co. 1, lett. c o c-bis, delTUIR). Lo stesso non può invece dirsi valere in ipotesi di recesso tipico (i.e. deposito delle azioni presso la sede sociale e il successivo rimborso delle stesse), in quanto le somme ricevute dal socio costituiscono utile per la parte che eccede il prezzo pagato per l’acquisto/ sottoscrizione delle azioni o quote annullate.

A supporto del parare negativo espresso, l’Agenzia ha poi posto l’accento su due ulteriore elementi: (i) l’incentivo alla circolazione delle partecipazioni quale ratio sottesa alla normativa in tema di rivalutazione e (ii) il carattere residuale dell’art. 47, co. 7, del TUIR, nel cui alveo applicativo dovrebbero ricondursi tutte le operazioni, come quella esaminata, mediante le quali la società attinge alle proprie riserve per consentire al socio di realizzare il proprio investimento.  

Sulla scorta delle predette considerazioni, l’Agenzia ha ritenuto integrati con riferimento all’operazione prospetta i presupposti costitutivi dell’abuso, qualificando come indebito ed essenziale il vantaggio conseguito dai soci uscenti, mediante l’aggiramento del regime fiscale del recesso tipico (rinvenibile nella differenza tra l’imposta sostitutiva al 16% da rivalutazione e l’imposta sostitutiva al 26% da recesso tipico).

Nell’ambito della sequenza di operazioni prospettata, a nulla verrebbe a rilevare il mancato annullamento delle azioni proprie così acquisite, atteso che, a parere dell’Agenzia, i comportamenti tenuti dalle parti instanti (nella specie, l’inserimento di una clausola statutaria ad hoc) verrebbero in concreto a rilevare non già la volontà di agevolare la circolazione delle partecipazioni bensì solo l’intento di assicurarne il pronto disinvestimento.

Le valutazioni esplicitate a mezzo della risposta in commento sembrano tuttavia divergere dalle indicazioni in più occasioni fornite sul tema della giurisprudenza tanto di merito che di legittimità.[1]

In particolare, secondo l’ormai consolidato orientamento, il risparmio d’imposta conseguito per effetto della rivalutazione, non può considerarsi né illecito né indebito, giacché derivante dall’applicazione di un’opzione perfettamente lecita, messa a disposizione del contribuente su un piano di pari dignità con le altre alternative. Del resto, come chiarito dalla Corte di cassazione, l’obiettivo che il legislatore fiscale intendeva (e intende) perseguire con l’introduzione della norma agevolativa non può essere esclusivamente quello di consentire la circolazione delle partecipazioni, ben potendo rispondere (anche) ad esigenze di cassa.

Infine, giova rilevare che, in senso diametralmente opposto alla tesi erariale, per i giudici tributari l’acquisto di azioni proprie non può essere a priori riqualificato quale operazione dissimulante un recesso tipico ex art. 47, co. 7, TUIR, trattandosi di istituti intrinsecamente diversi.  In effetti, a dispetto della disposizione richiamata che presuppone l’annullamento delle azioni o quote, l’acquisto delle azioni proprie non è generalmente seguito dalla riduzione del capitale della società.[2]

G.S.


[1] Ex plurimis, CGT II grado Veneto n. 30/202; CGT I grado Padova n. 48/2019; CGT I grado Udine n. 32/2023; Cass., n. ordinanza 24839/2020 e n. 25131/2021.

[2] Per ulteriori approfondimenti, L’acquisto di azioni proprie preceduto dalla rivalutazione delle stesse non è qualificabile come recesso tipico, Il Fisco n. 23, 12 giugno 2023, p. 2290.

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