IRAP: rimborso anomalo per i versamenti rivelatisi indebiti

Con la risposta ad interpello n. 186/2024, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito le modalità operative di restituzione dell’IRAP, nel particolare caso di sentenza passata in giudicato che ne ridetermini la base imponibile. A tal riguardo è stato identificato quale elemento di discrimine la spettanza originaria o sopravvenuta del diritto di rimborso, avuto riguardo al versamento dell’imposta. Sicché, per il pagamento rivelatosi solo a posteriori indebito, la restituzione seguirà la disciplina del “rimborso anomalo” prevista in via residuale dall’art. 21, comma 2, del D.Lgs. n. 546/1992.

Il quesito

Nel caso prospettato, la società istante riferiva una situazione di incertezza normativa in ordine al recupero dell’IRAP corrisposta sugli emolumenti poi riversati da un suo ex dirigente, a fronte della sentenza di condanna emessa dal giudice del lavoro.  

La risposta dell’Agenzia

In via preliminare, l’Agenzia ricorda come, in materia di imposte dirette, assurge a procedura ordinaria di rimborso la disciplina dettata dall’art. 38 del D.P.R. n. 602/1973, la quale rimette al contribuente la possibilità di richiedere, entro 48 mesi, la restituzione delle somme indebitamente corrisposte.

Senonché, come in più occasioni chiarito dalla giurisprudenza di legittimità[1], il predetto iter non ha indistinta applicazione, presupponendo l’esistenza di una precipua condizione legittimante: vale a dire, la non spettanza originaria del versamento fatto oggetto di rimborso.

L’operatività della modalità generale di rimborso deve, dunque, ritenersi confinata ai soli casi di errore materiale, duplicazione e inesistenza totale o parziale dell'obbligo di versamento.

Volgendo lo sguardo al caso di specie, l’Agenzia rileva l’insussistenza del richiamato presupposto applicativo. Il diritto alla restituzione è, difatti, sorto solo in un momento successivo al pagamento dell'imposta (dovuta in origine) e coincidente con la pronuncia di ripetizione.

Tuttavia, come evidenziato nella risposta, tale aspetto non pregiudica tout court il contribuente, il quale potrà comunque ottenere la restituzione dei versamenti indebitamente corrisposti ricorrendo all’istituto del “rimborso anomalo”. Difatti, in soccorso della lacuna normativa, viene richiamata dall’Agenzia la disciplina di carattere residuale dettata dall’art. 21, comma 2, del D.Lgs. 546/1992, stante il quale, in mancanza di disposizioni specifiche, “l'istanza di rimborso può essere presentata entro due anni dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione”.

Dies a quo identificato, con riferimento fattispecie prospettata dall’istante, nel passaggio in giudicato della sentenza di condanna.

Nell’oscurità della littera legis, la risposta dell’Agenzia rappresenta una valida guida per tutti i contribuenti chiamati affrontare il recupero di indebiti versamenti in situazioni peculiari, i quali, sulla scorta dei chiarimenti forniti ed entro i confini temporali sopra delineati, potranno ricorrere in via residuale all’istituto del rimborso “anomalo”.

L.A.


[1] Ex plurimis, Cass. n. 3575/2010, Cass. n. 32309/2019 e Cass., n. 27315/2023 ““(…) in tema di rimborso di versamenti effettuati in relazione ad imposte dirette non dovute, la disciplina di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 38, che prevede la possibilità di presentare la relativa richiesta entro il termine di quarantotto mesi, si applica esclusivamente se tali versamenti non risultavano dovuti fin dall’origine; quando, invece, il diritto alla restituzione sia sorto in data posteriore a quella del pagamento dell’imposta, è applicabile il D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 21, comma 2, disposizione di carattere residuale e di chiusura del sistema, secondo cui l’istanza di rimborso può essere presentata entro due anni dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione”.

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