Intrasferibilità di componenti reddituali tra società consolidate

Con l’Ordinanza del 25 giugno 2024, n. 17433, la Corte di Cassazione ha sostanzialmente dichiarato illegittima l’arbitraria traslazione di elementi reddituali tra società appartenenti al medesimo consolidato nazionale. Nonostante il reddito complessivo del gruppo non subisca variazioni, i giudici hanno affermato la tassatività e l’inderogabilità delle regole del reddito d’impresa da parte di ogni singola società.

Il caso

La decisione in esame riguarda la ripresa di costi da parte dell’Agenzia delle Entrate nei confronti di una società consolidata, in quanto ritenuti non sufficientemente documentati. Tali costi riguardavano alcune prestazioni di servizi relativi a “strategia commerciale, organizzazione, pianificazione, logistica e acquisti, affari finanziari e controllo direzionale” intervenute tra due società residenti appartenenti al medesimo consolidato fiscale nazionale.

La CTP accoglieva i ricorsi e la CTR confermava la sentenza di primo grado.

Invero, la pronuncia di secondo grado rigettava l’appello erariale per carenza di interesse ad agire della parte pubblica, dal momento che la ripresa dei costi iscritti nel bilancio di una consolidata e addebitati dalla controllante, non modificava il reddito imponibile emergente dall’unica dichiarazione del consolidato.

L’Agenzia delle Entrate, di conseguenza, proponeva ricorso in Cassazione, lamentando la violazione e falsa applicazione degli artt. 100, c.p.c., 109 e 117 del TUIR.

La pronuncia

Investita dalla questione, la Suprema Corte ha stabilito che: “in effetti non può ammettersi la ‘compensazione’ di voci del conto economico di rilievo fiscale che, in violazione del disposto dell’art. 109 TUIR, determini lo spostamento di oneri o compensi da una società all’altra, pur appartenenti al medesimo consolidato fiscale, e ciò attesa la tassatività e l’inderogabilità delle regole che presiedono alla determinazione del reddito d’impresa di ciascuna società”.

D’altronde, a parere dei giudici di legittimità, l’ordinamento fiscale non consente di attribuire all’imprenditore libero arbitrio nell’imputazione delle singole voci, e ciò vale sia se trasferiti da una società ad un’altra (anche nell’ambito del medesimo gruppo) sia se tale traslazione avvenga da un esercizio ad un altro (Cfr. Cass. n. 17195/2006), in violazione del principio di competenza. Nessun rilievo ha il fatto che la somma algebrica del reddito complessivo non subisca alcuna variazione.

Il commento

L’arresto giurisprudenziale parrebbe addirittura confliggere con una risalente presa di posizione dell’Agenzia delle Entrate, che nella nota n. 55440/2008 si era spinta a sottolineare come un rilievo tributario perdesse “di consistenza se ad un costo dedotto si contrappone un ricavo integralmente e effettivamente tassato in capo ad un altro soggetto”.

Il principio elaborato dalla Suprema Corte rappresenta un pericoloso arresto da tenere in considerazione nell’ambito dei rapporti infragruppo regolati ai fini fiscali dal regime del consolidato nazionale.

Se è pur vero che in altri precedenti giurisprudenziali di merito i giudici hanno riconosciuto l’effetto di neutralità e di invarianza di gettito conseguente alla compensazione di imponibili nel regime del consolidato fiscale (Cfr. CTP Reggio Emilia n. 45/2010 e CTR Lombardia n. 2484/2018), il recente giudizio di legittimità ricorda invece che:

  • le regole del reddito d’impresa devono essere correttamente applicate in capo a ogni singolo partecipante al consolidato fiscale; e
  • l’opzione per tale regime non fa venir meno la possibilità per l’Agenzia delle Entrate di sindacare la violazione dei principi di inerenza e competenza in ordine alla rilevanza fiscale dei componenti negativi di reddito.

Il principio formulato dalla Suprema Corte è conseguenza di una lettura miope e formalistica delle norme che regolano l’imputazione delle componenti reddituali tra società appartenenti al medesimo consolidato, in contrasto con il generale principio di simmetria fiscale e di neutralità nell’imposizione, con conseguente effetto distorsivo del potere impositivo, in termini di potenziale doppia imposizione.

Ragioni di equità, nonché di salvaguardia della capacità contributiva, vorrebbero che per una corretta attuazione del principio espresso dalla sentenza in commento, al disconoscimento dei costi in capo ad un’entità consolidata si affiancasse un’automatica rettifica in diminuzione del reddito della società consolidante direttamente da parte della stessa Amministrazione finanziaria.

L.A.

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