Con la risposta all’interpello n. 172/2024, l’Agenzia delle Entrate ha affermato la deducibilità, ai fini IRES ed IRAP, degli interessi passivi relativi alle maggiori imposte definite tramite atti di conciliazione e di accertamento con adesione, discostandosi da quanto espresso dalla Cassazione nell’ordinanza n. 28740/2022, che ha negato la deducibilità degli interessi moratori conseguenti al tardivo pagamento di un tributo. Nel caso trattato dalla risposta, l’istante è una società alla quale l’Amministrazione ha contestato alcuni rilievi in materia di transfer pricing. In seguito alla sottoscrizione di un accordo con la Direzione regionale, l’istante ne ha dato esecuzione tramite la definizione degli atti di conciliazione e di adesione relativi ai periodi d’imposta interessati. Posto che è intenzione della società, ai fini della determinazione del reddito per il periodo d’imposta 2022, dedurre l’importo versato a titoli di interessi, viene sottoposta al vaglio dell’Agenzia la questione del regime fiscale degli interessi applicati per il tardivo versamento delle imposte IRES ed IRAP. La questione trova fondamento dal momento in cui, seppur la prassi dell’Agenzia abbia più volte confermato la deducibilità degli interessi passivi, la recente Ordinanza della Cassazione n. 28740/2022 ha generato non pochi dubbi interpretativi. Secondo tale pronuncia, infatti, poiché gli oneri finanziari, per essere deducibili, devono necessariamente tradursi in costi funzionali alla produzione del reddito di impresa, ne consegue che sono indeducibili gli interessi moratori dovuti in conseguenza dell’omesso o del tardivo versamento di somme dovute dall’impresa per il pagamento di imposte. Riportando le parole della Corte: “(…) con particolare riferimento agli interessi passivi, gli stessi, ai fini della deducibilità, devono tradursi in oneri generati dalla funzione finanziaria a sostegno dell’attività aziendale, ovverosia devono afferire all’impresa nel suo essere e progredire sul piano economico e reddituale. Tali interessi devono, in altri termini, necessariamente tradursi, perché possano essere considerati deducibili ai sensi del d.P.R. n. 917 del 1986, articoli 63 e 75, in costi funzionali alla produzione del reddito di impresa (…)”. Nonostante la soprammenzionata giurisprudenza di legittimità, la società istante ritiene ammissibile la deducibilità degli interessi passivi sulla base delle seguenti osservazioni: In definitiva, il legislatore, secondo l’istante, ha inteso che ai fini della deducibilità degli interessi passivi non assuma alcuna rilevanza il fatto che essi siano o meno accessori ai tributi a cui afferiscono poiché nella dimensione del reddito d’impresa essi sono in ogni caso “inerenti” rispetto all’attività da cui originano i ricavi che concorrono alla formazione del reddito imponibile. A parere dell’Agenzia deve essere ribadito quanto affermato in una precedente risposta, la n. 541/2022. In quell’occasione, riguardo al trattamento fiscale degli interessi per il ritardato versamento di imposte corrisposti sulla base di atti di conciliazione, ha precisato che: “la loro deducibilità, in sostanza, deve essere determinata solo applicando le modalità di calcolo dettate dal TUIR al loro ammontare complessivo, indipendentemente dal fatto aziendale che li ha generati o dalla deducibilità del costo al quale sono collegabili. (...) gli interessi passivi correlati alla riscossione e all’accertamento delle imposte non differiscono in nulla da qualsiasi altro onere collegato al ritardo nell’adempimento di un’obbligazione e rientrano quindi nell’ambito applicativo proprio della categoria degli interessi passivi, (...) separandosi inevitabilmente dal regime impositivo del tributo cui accedono”. Inoltre, analogo principio era stato precedentemente elaborato dalla stessa Amministrazione con la Risoluzione n. 178/2001, in relazione a interessi passivi corrisposti su finanziamenti erogati per differire il pagamento di sanzioni irrogate dalla Commissione Europea, in cui è stato affermato che: “l’articolo 63 del TUIR (oggi art. 96) non pone alcun limite alla deducibilità degli interessi passivi in funzione dell’evento cui gli stessi sono collegati o della natura dell’onere cui essi sono accessori. Una conferma di ciò si ha anche nella relazione ministeriale illustrativa del TUIR, la quale, in relazione ad una fattispecie analoga a quella oggetto dell’interpello, afferma che ‘rientrano nell’accezione di interessi passivi anche le somme corrisposte a norma del decreto n. 602 (…) in quanto appare indubbia la loro natura di interessi passivi, ancorché accessori all’imposta’. In conclusione, considerato che il sistema normativo del TUIR riconosce l’autonomia della funzione degli interessi passivi, la loro deducibilità deve essere determinata solo applicando le modalità di calcolo dettate dall’art. 63 (ora art. 96) al loro ammontare complessivo, indipendentemente dal fatto aziendale che li ha generati o dalla deducibilità del costo al quale sono collegabili”. Dal momento che è lo stesso sistema normativo del TUIR a riconoscere l’autonomia della funzione degli interessi passivi, l’Agenzia concorda per l’integrale deducibilità di quest’ultimi, allorché dovuti in base ad atti di conciliazione e di accertamento con adesione, non avendo essi causa finanziaria (come espressamente sostenuto dalla risposta n. 541/2022). Benchè la risposta in commento non lo affermi esplicitamente, non si ravvisano ostacoli ad estendere l’applicazione di tale principio anche agli interessi, accessori al maggior tributo, dovuti in base ad atti impositivi verso i quali si sia prestata acquiescenza ovvero ad atti impositivi impugnati dal contribuente e confermati con sentenza passata in giudicato. Infine, di particolare interesse è il fatto che il precedente di segno contrario già menzionato (Ordinanza n. 28740/2022) sia stato indicato dall’istante, nella risposta in commento, come causa di legittimo dubbio interpretativo e la stessa Amministrazione Finanziaria pare avere consapevolmente scelto di discostarsene. L.A.