La Cassazione si esprime sull’imponibilità ai fini IVA o Registro dell’accordo transattivo

Con la sentenza n. 14772/2024 la Corte di cassazione si è espressa sull’annosa questione concernente l’imponibilità ai fini IVA o dell’imposta di registro dell’accordo transattivo. Dirimente per la pronuncia è stata la qualificazione della transazione come novativa o semplice/conservativa: una qualità che deve essere indagata al di là del nomen iuris attribuito dalle parti

Il caso

La vicenda trattata dalla Corte origina dalla notifica di un avviso di liquidazione a due società, precedentemente coinvolte in un rapporto commerciale. Il prematuro scioglimento del rapporto in essere aveva condotto ad un contenzioso giudiziale, che le parti avevano interrotto con la stipula di un accordo transattivo raggiunto in sede di conciliazione davanti al Tribunale ove pendeva la lite. L’accordo prevedeva lo scioglimento del precedente rapporto contrattuale e statuiva il pagamento delle prestazioni già eseguite con le stesse modalità originariamente pattuite (in parte in denaro, in parte con trasferimenti immobiliari) e pur sempre con imponibilità ai fini IVA. In esito alla registrazione del verbale di conciliazione, l’Agenzia delle Entrate emetteva il predetto avviso di liquidazione, applicando l’imposta di registro con aliquota al 3% sull’ammontare del pagamento dovuto in virtù dell’accordo transattivo. La pretesa fiscale trovava fonte nell’art. 9 della Tariffa Parte I allegata al Testo Unico dell’imposta di Registro (“TUR”), che assoggetta ad imposta di registro proporzionale in via residuale tutti gli atti, aventi per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale, diversi da quelli per i quali è prevista un’apposita disciplina. Dal canto loro, i contribuenti eccepivano che, avendo la transazione ad oggetto prestazioni imponibili ai fini IVA (in continuità a quelle che formavano il precedente rapporto), avrebbe dovuto applicarsi la disciplina di cui all’art. 40 TUR (il noto principio di alternatività IVA/Registro).

Impugnato l’avviso di liquidazione, i gradi di merito si concludevano con la soccombenza dei contribuenti, sul presupposto che la transazione avesse natura novativa, come peraltro espressamente dichiarato dalle parti in sede di accordo. La circostanza di aver sciolto il precedente rapporto contrattuale, infatti, sottraeva allo stesso regime di imponibilità IVA le nuove prestazioni di pagamento.

La Cassazione veniva quindi investita della questione.

La pronuncia

Il percorso seguito dai giudici di legittimità si avvia con l’analisi della norma del TUR dedicata al negozio transattivo. L’art. 29 del TUR dispone infatti che: “per le transazioni che non importano trasferimento di proprietà o trasferimento o costituzione di diritti reali l’imposta si applica in relazione agli obblighi di pagamento che ne derivano senza tenere conto degli obblighi di restituzione né di quelli estinti per effetto della transazione; se dalla transazione non derivano obblighi di pagamento l’imposta è dovuta in misura fissa”. Tale disposizione, stabilendo un generale principio di imponibilità ai fini del registro della transazione, non deroga tuttavia il principio di alternatività IVA/Registro: laddove, infatti, la transazione lasci persistere prestazioni soggette ad IVA (originatesi nell’ambito del rapporto commerciale), tale dovrà restare il regime di imponibilità. Solo l’eventuale carattere novativo della transazione potrà andare ad intaccare questa regola “in quanto comporta l’inoperatività del principio di alternatività IVA/Registro (…) stante l’estinzione delle precedenti obbligazioni soggette ad IVA e la loro sostituzione con nuove obbligazioni non soggette ad IVA”.

Tanto premesso, occorre soffermarsi su quali siano i caratteri della transazione novativa, che la Corte individua in “una situazione di oggettiva tra il rapporto preesistente e quello originato dall’accordo transattivo” tale che “venga creato un nuovo rapporto contrattuale che si sostituisce integralmente al precedente, determinandone l’estinzione”. È appunto l’integralità della sostituzione a tracciare il confine tra transazione semplice/conservativa e novativa: nell’ambito della transazione semplice, infatti, le parti compongono una lite sostituendo singole obbligazioni a quelle originarie, ottenendo l’effetto di modificare il precedente rapporto, senza estinguerlo.

L’integralità della sostituzione (carattere qualificante della transazione novativa) è tale per cui l’effetto sostitutivo opera non solo per il futuro (ex nunc) ma finanche per il passato (con effetti ex tunc). In altri termini, con la transazione novativa anche le obbligazioni già eseguite trovano una loro regolamentazione nell’atto transattivo successivamente intervenuto. Conseguentemente, tale effetto non può riscontrarsi ove la transazione non provveda a regolamentare le prestazioni già svolte (ovvero ad estinguere ab origine il rapporto precedente) e si limiti a statuire una mera riduzione quantitativa del corrispettivo per esse dovuto.

Sulla scorta di tali ragionamenti, la Corte di cassazione ha accolto la tesi dei contribuenti (comportante la non imponibilità ai fini del registro) in ragione del fatto che nel caso di specie la transazione doveva considerarsi conservativa, a prescindere dalla circostanza che le parti l’avessero inizialmente qualificata come novativa. La Corte ha quindi enunciato il seguente principio di diritto: “in materia di appalto d'opera, la transazione intervenuta tra le parti, con cui l’originario contratto sia sciolto solo per il futuro, con una mera riduzione quantitativa delle originarie prestazioni, in ragione della cessazione anticipata del rapporto e della esecuzione solo parziale dell’opera, ha natura conservativa, mentre ha natura novativa laddove il contratto sia sciolto con effetti ex tunc, travolgendo le originarie obbligazioni, sostituite con nuove prestazioni, qualitativamente e quantitativamente diverse”.

La pronuncia della Suprema Corte si fa particolarmente apprezzare per aver conferito chiarezza all’annosa questione della distinzione tra transazioni semplici e novative; un tema di derivazione civilistica ma che ha indubbi riflessi fiscali. Per quanto l’arresto in commento costituirà un precedente particolarmente significativo, occorrerà attendere la formazione di un orientamento maggiormente consolidato per affermare con certezza la riconducibilità della transazione semplice al regime IVA e, viceversa, della transazione novativa al registro (presupponendo, in ogni caso, la sussistenza di un rapporto commerciale pregresso).

Ad inficiare l’univocità di tale conclusione è la stessa giurisprudenza di legittimità (Cfr. Cass. sez. V, nn. 20233 e 23668 del 2018) che, conformemente ad alcuni documenti di prassi amministrativa (Risposte ad interpello nn. 145, 179 e 356 del 2021 e n. 212 del 2022), ha recentemente sostenuto l’imponibilità ai fini IVA delle prestazioni dedotte in una transazione novativa: ciò in quanto la rinuncia alla res litigiosa contenuta in una scrittura privata, accompagnata dal versamento di un corrispettivo a tacitazione delle pretese avanzate da una o entrambe le parti contrattuali, costituisce una prestazione di “non fare” ai sensi dell’art. 3 del d.P.R. 633/1972, come tale imponibile ai fini IVA.

A.P.

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