La legge delega per la riforma fiscale (Legge 9 agosto 2023, n. 111) nella parte relativa alla revisione dell’IRPEF, prevede importanti novità in materia di tassazione delle plusvalenze realizzate a seguito delle cessioni di opere d’arte. In particolare, il legislatore delegato si prefigge di tassare la generalità delle predette operazioni, escludendo soltanto i casi in cui manchi una finalità speculativa oppure i beni siano pervenuti per successione o per donazione. La normativa vigente e l’orientamento della Cassazione Ad oggi, la nozione di commerciante d’arte non trova una precisa definizione normativa, restando incerta la relativa qualificazione come imprenditore (ritraente, quindi, un reddito d’impresa dalla vendita delle opere), come lavoratore autonomo o finanche come un soggetto che, in virtù delle finalità culturali e dell’assenza di intenti speculativi che sottendono la sporadica cessione delle opere, non è assoggettato ad alcuna imposizione. Su questa tematica, la Corte di cassazione si è recentemente espressa con l’ordinanza n. 1603/2024. Il caso riguardava un commerciante d’arte al quale erano stati notificati dall’Amministrazione due avvisi di accertamento poiché, ritenuta la sua qualifica di imprenditore commerciale, i proventi delle cessioni di opere d’arte erano da ricondurre all’ambito del reddito d’impresa. Secondo i Giudici: “la nozione civilistica e quella tributaristica di “imprenditore commerciale” divergono per l’aspetto dell’elemento dell'organizzazione, indispensabile per il diritto civile ma non per quello tributario, ai fini del quale è sufficiente la professionalità abituale dell'attività economica, anche senza l'esclusività della stessa”. Ai fini delle imposte dirette, l'art. 55 del TUIR, infatti, riconduce la qualità di imprenditore commerciale al “l’esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, delle attività indicate dall'articolo 2195 c.c. (…) anche se non organizzate in forma d'impresa” prescindendo, quindi, dal requisito organizzativo. Al riguardo, la Cassazione ripercorre la tripartizione dottrinale del “collezionista d’arte” evidenziando che: “è da qualificarsi come (i) mercante di opere d'arte colui che professionalmente e abitualmente ne esercita il commercio anche in maniera non organizzata imprenditorialmente, col fine ultimo di trarre un profitto dall'incremento del valore delle medesime opere; è (ii) speculatore occasionale chi acquista occasionalmente opere d'arte per rivenderle allo scopo di conseguire un utile; è (ii) mero collezionista, infine, chi acquista le opere per scopi culturali, con la finalità di incrementare la propria collezione e possedere l'opera, senza l'intento di rivenderla generando una plusvalenza, avendo interesse non tanto per il valore economico della res quanto per quello estetico-culturale (…)”. Il discrimine su cui fondare la diversa qualificazione è stato individuato dai Giudici nel requisito dell’abitualità, di cui all'art. 55 TUIR in tema di reddito d’impresa. Secondo l’orientamento giurisprudenziale, rappresentano elementi significativi idonei a dimostrare la sistematicità e la professionalità dell’attività d'impresa: (i) il numero delle transazioni effettuate, (ii) gli importi elevati, (ii) il quantitativo di soggetti con cui sono stati intrattenuti rapporti e (iv) la varietà della tipologia di beni alienati. Laddove si difetti del requisito dell’abitualità, il cedente potrà essere alternativamente qualificato come speculatore occasionale o come mero collezionista. Soltanto nel primo caso, allorché quindi venga ravvisato un intento speculativo, i proventi ritratti dalla cessione delle opere saranno oggetto di imposizione, venendo ricompresi nella categoria dei redditi diversi ex art. 67, c. 1, lett. l) (“redditi derivanti da attività di lavoro autonomo non esercitate abitualmente o dalla assunzione di obblighi di fare, non fare o permettere”). Riforma fiscale L’art. 5 della Legge n. 111/2023 ha delegato il Governo ad operare una riforma della categoria fiscale dei redditi diversi, prevedendo “l'introduzione di una disciplina sulle plusvalenze conseguite, al di fuori dell'esercizio di attività d'impresa, dai collezionisti di oggetti d'arte, di antiquariato o da collezione nonché, in generale, di opere dell'ingegno di carattere creativo appartenenti alle arti figurative, escludendo i casi in cui è assente l'intento speculativo, compresi quelli di plusvalenza relativa a beni acquisiti per successione o donazione, nonché esonerando i medesimi da ogni forma dichiarativa di carattere patrimoniale”. Degna di nota è, innanzitutto, la novità relativa all’inversione della regola generale: mentre, allo stato attuale, la mancanza di una disciplina specifica comporta che i proventi derivanti dalla cessione di opere d’arte da parte di soggetti non imprenditori non siano soggetti ad alcuna imposizione, salvo eccezioni, la futura attuazione delle delega comporterebbe l’introduzione del principio opposto, ovvero quello dell’imponibilità in via generale di dette operazioni, salvo le eccezioni specificamente previste. La Legge delega individua nell’assenza di un intento speculativo il criterio cardine su cui dovrà fondare l’analisi delle operazioni da non assoggettare a tassazione, prevedendo inoltre la specifica esclusione relativa ai capital gains generati dalla cessione di beni acquisiti per successione o per donazione. Sul legislatore delegato graverà, quindi, l’onere di individuare i casi in cui manca tale intenzione lucrativa. A tal fine, in linea con quanto era previsto dall’art. 76 del d.P.R. 597/1973 (disciplina poi soppressa per effetto dell’entrata in vigore del TUIR nel 1986) il legislatore delegato potrebbe valutare la previsione di un holding period come elemento utile per valutare l’esistenza o meno di un intento speculativo del cedente (analogamente a quanto oggi previsto per le plusvalenze immobiliari). La disciplina abrogata, infatti, stabiliva che “si considerano in ogni caso fatti con fini speculativi, senza possibilità di prova contraria (…) l’acquisto e la vendita di oggetti d’arte (…) se il periodo di tempo intercorrente tra l’acquisto e la vendita non è superiore a due anni”. Tuttavia, tale soluzione potrebbe non essere coerente con le ordinarie logiche di mercato che governano il settore: infatti, i profitti maggiori nel mondo dell’arte derivano dalla vendita di opere detenute per un lungo periodo di tempo. Conclusione Nonostante la volontà da parte del legislatore di introdurre una normativa ad hoc, ben difficilmente l’individuazione dell’intento speculativo potrà essere definito in modo certo e sistematico attraverso previsioni scritte. Pertanto, anche dopo l’introduzione delle auspicate disposizioni, ciò non comporterà né l’esaurirsi del contenzioso in materia, né il superamento della storica contrapposizione tra le figure del mercante d’arte, dello speculatore occasionale e del mero collezionista. Conseguentemente, la qualificazione di un soggetto in una delle tre predette macrocategorie dipenderà di volta in volta dagli elementi fattuali della singola fattispecie il cui accertamento ricadrà in capo all’Amministrazione ed alla giurisprudenza. L.A.