Con la sentenza del 10 gennaio 2024, n. 1001, la Corte di cassazione ha definito una peculiare vicenda involgente la riqualificazione di un rapporto di cash pooling in un finanziamento intercompany. Ribadito l’onere della prova incombente sull’Amministrazione circa la non conformità del tasso d’interesse applicato dalle parti a quello “normale”, la decisione è risultata favorevole al contribuente, per aver l’Ufficio assunto a riferimento un tasso di remunerazione non conforme al tipo di transazione analizzata. La vicenda origina da un avviso di accertamento notificato ad una società, con il quale venivano recuperati a tassazione interessi passivi induttivamente determinati a fronte del continuativo deposito di somme presso il conto intercompany di cash pooling stipulato dalla contribuente con una propria consociata irlandese (che operava nella qualità di pooler). Secondo tale contratto, il rapporto di cash pooling avrebbe dovuto uniformarsi alla formula dello “zero balance system”, per cui ciascuna consociata si impegna a trasmettere nel conto corrente comune tutte le somme attive e riceve il ripianamento di tutte le somme passive a fine giornata (cosicchè il saldo contabile di ciascuna consociata sia sempre pari allo zero). Tuttavia, l’analisi del contratto faceva emergere che: (i) il tasso mensile degli interessi attivi e passivi era fissato sul tasso Euribor con una variazione di più e meno di 50 punti base, rispettivamente per importi a debito e a credito; (ii) il pooler non aveva operato alcuna ritenuta alla fonte sugli interessi attivi spettanti alla contribuente e non aveva addebitato alcuna commissione per la tenuta del conto di tesoreria accentrata; (iii) la contribuente non aveva mai fatto ricorso al credito infragruppo ma aveva sempre depositato i propri saldi attivi; (iv) contrariamente alla formula dello “zero balance” i trasferimenti dei saldi attivi non avvenivano a cadenza giornaliera ma con periodi più lunghi. Sulla scorta di tali elementi l’Ufficio disconosceva il contratto di tesoreria, ritenendo invece che il rapporto tra consociata italiana e pooler dovesse essere riqualificato nei termini di un finanziamento, con conseguente debenza di interessi attivi a favore della prima. L’impugnazione dell’atto impositivo dava esito favorevole per la contribuente in primo ed in secondo grado, sicché l’Ufficio interponeva ricorso per cassazione. Tra i motivi di ricorso spesi, l’Ufficio lamentava in particolare la mancata considerazione, da parte della Corte di secondo grado, degli elementi indiziari suesposti, dal cui complesso avrebbe dovuto derivare la prova presuntiva circa la sussistenza di un rapporto di finanziamento; da tale evidenza avrebbe dovuto conseguire, a cascata, la tassazione di una remunerazione figurativa a favore della contribuente italiana, che l’Ufficio ha calcolato induttivamente facendo riferimento, in luogo del tasso Euribor con variazioni (previsto contrattualmente), alla redditività media dei titoli a tasso fisso pubblicato dalla Banca d’Italia (o, più semplicemente, l’indice Rendistato). La Suprema Corte, investita della questione, ha innanzitutto speso alcune considerazioni sul contratto di cash pooling, il quale “adempie all’evidente funzione di escludere o limitare l’accesso al credito bancario, finanziando l’impresa partecipante alla cassa comune con gli attivi di cassa dell’altra o delle altre imprese. L'istituto ha trovato riconoscimento anche nei principi contabili nazionali (OIC14) e, a certe rigorosissime condizioni, anche nella giurisprudenza penale (v. Cass. Pen. n. 34457/2018) ed è ricondotto, dalla dottrina maggioritaria, alla figura del contratto atipico, ai sensi dell'art. 1322 c.c., a causa mista, differenziandosi, attraverso l'analisi delle prassi aziendali, il cd. "notional cash pooling" (generante interessi attivi a carico della capogruppo/tesoriere e a favore delle partecipate/gestite) dal cd. “zero balance cash pooling" (il quale azzera le partite di dare - avere e genera, in alcune ipotesi al massimo un aggio a favore della capogruppo e a carico delle partecipate per il servizio di tesoreria svolto) (cfr. Cass. V, n. 20332/2019)”. Così tracciata la definizione del contratto di tesoreria accentrata, la Cassazione ha appurato che effettivamente tanto le clausole pattizie in essere tra le parti, quanto il loro comportamento concludente, fanno propendere per una qualificazione del rapporto in termini di finanziamento infragruppo. Tuttavia, la contestazione mossa dall’Ufficio deve inquadrarsi entro la disciplina del transfer pricing di cui agli artt. 9 e 110 TUIR, peraltro mai evocati dall’Amministrazione stessa. In applicazione del criterio di riparto dell’onere della prova vigente in materia “in caso di finanziamento infragruppo è il fisco nazionale a dover fornire la prova della transazione ad un tasso d’interesse (apparentemente) inferiore a quello “normale”, quale presupposto della ripresa a tassazione degli interessi attivi sul finanziamento (…); dopodiché spetta alla società contribuente fornire la prova contraria, dimostrando l'aderenza del tasso di interesse applicato ai tassi del mercato di riferimento, nel senso che identica transazione tra imprese indipendenti operanti nel libero mercato sarebbe avvenuta alle stesse condizioni finanziarie, tenuto di anche di eventuali "ragioni commerciali" interne al gruppo”. Posto tale principio, ha errato l’Ufficio ad identificare il tasso d’interesse di riferimento nell’indice Rendistato, il quale non ha attinenza a finanziamenti contratti tra imprese indipendenti operanti nel libero mercato, essendo esso applicato in rapporti totalmente diversi da quelli ora considerati. Sulla scorta di tali argomenti, la Corte ha in definitiva rigettato il ricorso della parte pubblica. La sentenza in commento appare di particolare interesse: la Suprema Corte, infatti, pur avendo concordato con l’Ufficio circa l’addotta riqualificazione del rapporto in essere tra la contribuente e la consociata estera, ha tuttavia disatteso le pretese di una ripresa a tassazione degli interessi attivi, in ragione del mancato assolvimento della prova sul fatto che tale rapporto si fosse sviluppato su schemi non conformi all’arm’s lenght principle. Per assolvere ad un siffatto onere, l’Amministrazione è infatti tenuta ad identificare un parametro di riferimento che sia conforme al tipo di transazione realizzata. A.P.