Beneficiario effettivo: l’onere della prova è in capo all’Amministrazione finanziaria

La Corte di Giustizia di II grado dell’Emilia-Romagna, con la sentenza 2 ottobre 2023, n. 929, ha affermato che quando l’Agenzia delle Entrate contesti l’applicazione di una ritenuta ridotta prevista dalle Convenzioni contro le doppie imposizioni, per difetto della qualità di beneficiario effettivo in capo al percettore, è lo stesso ente impositore a dover provare la mancanza di tale requisito. La pronuncia si pone coraggiosamente in antitesi ad un orientamento di legittimità, ma in linea con altri autorevoli arresti di merito che hanno valorizzato il nuovo riparto dell’onere probatorio ex art. 7, c. 5-bis, d.lgs. 546/92.

Il caso

La vicenda origina dalla notifica di un avviso di accertamento in capo ad una società italiana che nel 2013 aveva corrisposto royalties ad una consociata con sede in Svizzera. Su tale flusso transfrontaliero, la società italiana aveva applicato, in luogo della ritenuta con aliquota ordinaria al 30% (prevista dall’art. 25, c. 4, d.P.R. 600/1973), la ritenuta ridotta al 5% prevista dalla Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Svizzera.

Detta Convenzione, analogamente al modello OCSE, prevede all’art. 12 l’applicazione di una ritenuta ridotta allorchè il percettore delle royalties sia: a) residente nell’altro stato contraente (c.d. Treaty entitlement – a regola tale requisito è provato attraverso la produzione, da parte del percettore, di un certificato di residenza fiscale rilasciato dalla competente autorità fiscale); e b) il beneficiario effettivo del reddito corrispostogli (c.d. Beneficial ownership – requisito da provare sulla base di una serie di indici sintomatici utili a rilevare la disponibilità economica e giuridica del reddito e l’assenza di un ri-trasferimento dei proventi ad altro soggetto).

Nel caso di specie, l’Agenzia delle Entrate contestava il requisito della Beneficial ownership, ritenendo che la società svizzera fosse un mero soggetto interposto, il quale ritrasferiva i redditi in argomento ad altra società, residente negli Stati Uniti, che la controllava al 100%.

Il sostituto d’imposta italiano impugnava quindi l’avviso di accertamento, ottenendo verdetto favorevole in primo grado in quanto la CTP adita, in esito ad una valutazione dei bilanci del percettore, non aveva riscontrato alcuna retrocessione delle royalties a vantaggio della controllante americana. Proponeva quindi appello l’Agenzia delle Entrate.

La pronuncia

L’appello di parte erariale verteva sul mancato assolvimento della prova, da parte della società italiana, che la percettrice svizzera fosse il beneficiario effettivo dei proventi. In particolare, secondo l’Ufficio, tale onere probatorio incombeva sul contribuente, giacchè l’applicazione della ritenuta ridotta equivaleva, a suo dire, all’impiego di una norma agevolativa.

La tesi dell’Agenzia, per cui fosse invece la controllante americana il beneficial owner, si fondava sul fatto che proprio l’entità statunitense fosse la formale titolare del marchio che, attraverso un contratto di affiliazione, veniva concesso in uso ad una serie di consociate internazionali, tra cui compariva la società svizzera. Quest’ultima, titolare non del marchio ma del diritto di concessione in uso, gestiva il brand per il mercato europeo, concludendo a sua volta contratti di franchising con altre affiliate, tra cui si annoverava la società italiana: in tale contesto, le royalties da questa pagate costituivano, almeno in parte, il corrispettivo dei servizi resi dalla società svizzera per la conclusione e la gestione dei rapporti di franchising.

A tali allegazioni controdeduceva la contribuente, chiedendo il rigetto dell’appello perché, appurato che la percettrice fosse residente in Svizzera, era onere dell’amministrazione provare che quest’ultima non fosse il beneficiario effettivo.

I giudici di appello, valutati tali fatti, hanno affermato che fosse irrilevante il fatto che la percettrice delle royalties non fosse la titolare del marchio ma del diritto di concessione in uso. Benchè in sentenza non vi sia un richiamo espresso, tale conclusione è conforme a quanto previsto nel modello OCSE di convenzione contro le doppie imposizioni all’art. 12, c. 2, ove si afferma che: “The term “royalties” as used in this Article means payments of any kind received as a consideration for the use of, or the right to use, any copyright of literary, artistic or scientific work including cinematograph films, any patent, trade mark, design or model, plan, secret formula or process, or for information concerning industrial, commercial or scientific experience”.

Inoltre, proprio dalla suesposta descrizione dei fatti e dei rapporti contrattuali in essere, la Corte ha certificato che la percettrice svizzera avrebbe dovuto considerarsi una società operativa e non un mero collettore di royalties (i.e. un soggetto interposto); conclusione confermata dai bilanci della società che – come già rilevato in primo grado – non davano atto di retrocessioni di royalties a beneficio della controllante americana.

Sotto il rilevante profilo dell’onere della prova, la Corte condivide in maniera cristallina “l’assunto difensivo della contribuente, secondo cui la prova che il percipiente i canoni non sia l’effettivo beneficiario grava sull’amministrazione finanziaria. Infatti, nella specie, non si tratta dell’applicazione di un’agevolazione fiscale, ma della sussistenza dei presupposti di uno specifico regime tributario (…). Dunque, era onere dell’amministrazione finanziaria fornire elementi idonei a sostegno della tesi che il beneficiario delle royalties fosse [la società americana] e che [la società svizzera] fosse un mero intermediario. Tale prova – come si è detto – è mancata”.

La Corte conclude con un ulteriore apprezzatissimo appunto, il quale riafferma l’applicabilità del meccanismo c.d. “look through” in materia di convenzioni contro le doppie imposizioni (sulla scorta di quanto elaborato in seno alla CGUE nelle celeberrime “sentenze danesi” e di quanto già statuito dalla Corte di cassazione in altre occasioni – vedasi, inter alia, Cass. civ., sez. V, 30 settembre 2019, n. 24288 in materia di dividendi). I giudici hanno infatti affermato che la pretesa fiscale sarebbe stata illegittima anche ove il beneficiario effettivo delle royalties fosse stata (presupposta la sussistenza dei requisiti ad hoc) la società controllante statunitense, poiché in quel caso sarebbe stata applicabile la Convenzione tra Italia e Stati Uniti (che prevede, in caso di beneficial ownership in capo al percettore americano, l’applicazione di una ritenuta ridotta al 8%).

In conclusione, la sentenza in commento si fa decisamente apprezzare, soprattutto per le conclusioni raggiunte in tema di onere della prova. Essa segue, a strettissimo giro, la sentenza emessa dalla CGT I grado di Reggio Emilia n. 192/2023 (presidente e relatore Dott. Marco Montanari) la quale, in fattispecie similare, ha raggiunto identiche conclusioni sul riparto dell’onere probatorio valorizzando l’efficacia impattante che ha assunto il nuovo art. 7, c. 5-bis, del d.lgs. 546/1992 anche nella materia del beneficiario effettivo.

La Corte emiliana, infatti, richiamato il recente orientamento della Corte di Cassazione su “quale sia la portata del concetto di beneficiario effettivo e su come si debba provare la persistenza di tale qualità in capo al percettore” e più specificamente riferendosi al c.d. sistema dei tre test (substantive business activity test; dominion test; business purpose test) elaborato in sede di legittimità (cfr. inter alia, Cass. civ., sez. V, 8 giugno 2023, n. 16173), ha annullato l’atto impositivo sul presupposto che “l’Agenzia non ha minimamente affrontato questo tipo di indagine, come era suo onere, limitandosi ad affermare che la società [percettrice] non era l’effettivo beneficiario delle royalties” e che “non può dunque dirsi che (…) l’Agenzia abbia adempiuto all’onere della prova che Le incombeva”. I giudici provinciali hanno quindi preso le distanze da quell’orientamento della Suprema Corte (cfr. Cass. civ., sez. V, 28 febbraio 2023, n. 6005) che vuole che, in base al principio della vicinanza della prova, sia il contribuente a dimostrare chi sia il beneficiario effettivo: tale principio è infatti non più sostenibile alla luce del “forte monito che è giunto dal Legislatore, in punto di corretta applicazione dell’onere della prova”.

A.P.

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