La Corte di Cassazione, nella recente sentenza del 27 aprile 2023, n. 11191, fornisce alcune interessanti indicazioni in merito all’applicazione della cd. “PEX” di cui all’art. 87 TUIR con riferimento agli strumenti finanziari assimilabili alle azioni. La decisione in esame si pronuncia su di una fattispecie invero piuttosto complessa. Nel 2006 un gruppo assicurativo italiano, al fine di acquisire una partecipazione in una banca cinese, era stata costretta ad impostare l’operazione per il tramite di una banca lussemburghese. Ciò in quanto le Autorità cinesi ponevano come condizione che la titolarità delle azioni spettasse ad un soggetto esercente attività bancaria. La banca lussemburghese, acquisita la partecipazione, emetteva degli strumenti finanziari che assicuravano alla capogruppo diritti patrimoniali simili a quelli di un socio, con diritti amministrativi limitati (notes). Successivamente, le notes, dopo essere state acquistate da una società lussemburghese del gruppo che svolgeva unicamente attività di gestione delle notes (LUX 1), venivano conferite in un’altra società del gruppo (LUX 2). Lux 2, controllata da LUX 1, era anch’essa residente fiscalmente in Lussemburgo. Essa non svolgeva altra attività che non la gestione della partecipazione in LUX 1. Venuto meno il vincolo imposto dalle Autorità cinesi, la capogruppo aveva dapprima estromesso la banca lussemburghese con una serie di operazioni e, successivamente, aveva ceduto ad una sua controllata le partecipazioni detenute in LUX 1, generando una importante plusvalenza. In sintesi, per quanto di rilievo, la questione può essere riassunta nei seguenti termini: Il contribuente riteneva applicabile alla fattispecie in questione il regime PEX sulla base del fatto che (assumendo la sussistenza dei requisiti di cui all’art. 87, c. 1, lett. A) e B), TUIR): L’Amministrazione Finanziaria aveva negato l’applicazione della PEX sulla base del fatto che tali strumenti finanziari: i) non conferivano a chi li deteneva poteri amministrativi di gestione della società partecipata; ii) non trasferivano al detentore alcun rischio dei risultati economici della partecipata; inoltre, iii) non poteva ritenersi sufficiente la dichiarazione di indeducibilità della remunerazione rilasciata dall’emittente, ai fini dell’assimilazione alle azioni. Secondo la Corte di Cassazione la parametrazione all’andamento economico della società emittente è invece sufficiente, da sola, a classificare uno strumento finanziario come titolo azionario o similare, fatta salva, per gli strumenti finanziari emessi da soggetti non residenti, l’ulteriore condizione della indeducibilità della remunerazione nello Stato estero. L’elemento innovativo della pronuncia è rappresentato anche, come evidenziato da autorevole dottrina, dal pieno riconoscimento, per la prima volta in seno alla giurisprudenza di legittimità, della fruizione del regime “PEX” in caso di cessione di azioni di una holding estera che detiene indirettamente titoli similari alle azioni, a valle dell’accertamento dei requisiti di residenza e di commercialità in capo alla società indirettamente partecipata. E’ stato altresì evidenziato il carattere “sorprendente” della pronuncia, testimoniato anche dalla significativa condanna alle spese cui è andata incontro l’Agenzia delle entrate ricorrente, giustificata dalla circostanza che la Suprema Corte ha accolto le doglianze della società resistente sulla base di un iter logico giuridico fondato in gran parte, se non esclusivamente, sulla consolidata prassi amministrativa stratificatasi negli anni. F.N.