Le clausole di earn out sono frequentemente contenute all’interno di contratti di compravendita di partecipazioni. Esse prevedono, nella maggioranza dei casi, che qualora la società compravenduta raggiungerà determinati standard negli anni successivi alla cessione, il prezzo pagato alla stipula subirà una rettifica in aumento. In caso contrario, vi sarà una rideterminazione del prezzo pattuito in diminuzione. Per l’acquirente il mutamento del prezzo, al verificarsi delle condizioni di cui alle clausole di “earn out”, non comporterà novazione del contratto ma soltanto una modifica del quantum dovuto; pertanto sotto il profilo tributario la rettifica del prezzo altro non sarà che un aumento o un decremento del costo della partecipazione. Nell’ottica dell’alienante, invece, tale rideterminazione comporterà una rettifica della plusvalenza o della minusvalenza originata dalla cessione delle partecipazioni. Da un punto di vista fiscale, il c.d. “price adjustment” è assoggettato al medesimo regime fiscale previsto per le componenti di reddito che la rettifica del prezzo va ad integrare. Il regime fiscale applicabile sarà il medesimo di quello applicato alla componente originaria. Di conseguenza se, come noto, inizialmente la componente originaria era stata soggetta alla pex anche la componente aggiuntiva beneficerà del medesimo regime. La questione in esame è già stata chiarita dall’Agenzia delle Entrate in alcune pronunce di molti anni fa. Ciò premesso, l’Agenzia delle Entrate, con risposta n. 180/2023, ha esaminato la disciplina fiscale applicabile nelle particolari ipotesi in cui, al momento in cui viene effettuato l’earn out, la partecipazione originaria sia già stata fusa per incorporazione nell’acquirente. A seguito di tale fusione, infatti, la società acquirente che riceve l’earn out non dispone più nel proprio patrimonio della partecipazione acquistata. Quest’ultima è stata annullata e sostituita, normalmente, nel bilancio dell’incorporante/acquirente: Si discuteva, quindi, sulla sorte della rettifica del prezzo (earn out) in tale ipotesi, post fusione. Problematica era la sorte dell’earn out, in tale ipotesi. Su quale componente andava allocato? Che componente andava ad integrare? Non certo la partecipazione che era stata elisa a seguito della fusione. La dottrina maggioritaria avanzava l’ipotesi che l’aumento del prezzo costituisse un maggior disavanzo di fusione e quindi un maggior valore del bene su cui il disavanzo viene allocato. L’Agenzia delle Entrate, con la risposta citata, ha confermato tale ultima ricostruzione. Il caso in esame riguardava proprio una compravendita di partecipazioni con successiva incorporazione della società acquistata. Dalla fusione era emerso a suo tempo un disavanzo che veniva allocato sul bene immateriale rappresentato dalla “lista clienti complessa”. Successivamente era maturato un earn out, post fusione, a favore dell’incorporante. L’Istante domandava quindi se fosse possibile procedere all’affrancamento dei maggior valori della lista clienti ex art. 172, c. 10bis, Tuir ricomprendendo anche l’incremento del prezzo pagato a titolo di earn out e le imposte differite sullo stesso allocate. Nella specie, l’Agenzia delle Entrate ha affermato che non potendosi rettificare il costo di acquisto della partecipazione a seguito del suo annullamento, l’aumento del prezzo determina un maggior disavanzo e quindi un aumento di valore del bene immateriale cui il disavanzo è allocato. Ciò premesso, poiché l’integrazione del corrispettivo deve seguire “la sorte fiscale” del bene cui si riferisce, se il Contribuente intende procedere all’affrancamento del maggior valore della lista clienti, allora anche la successiva revisione del prezzo dovrà assumere rilevanza fiscale ai fini del pagamento dell’imposta sostitutiva. Si tratta di un principio di estremo rilievo nella pratica con il quale l’Agenzia delle Entrate, coerentemente con le proprie prese di posizione, mostra di comprendere la natura dell’operazione fornendo una soluzione che si armonizza con le esigenze degli operatori. G.G.