Con la risposta ad interpello n. 374 del 13 luglio 2022, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che nell’ambito di un’operazione di riorganizzazione societaria, non costituisce abuso del diritto la precostituzione delle condizioni richieste dall’art. 177, c. 2, Tuir[1] diretta a beneficiare della disciplina del conferimento a realizzo controllato. Come noto, il conferimento di partecipazioni costituisce, al pari delle cessioni a titolo oneroso, una fattispecie realizzativa ai sensi dell’art. 9, c. 5, Tuir[2]. Di regola, quindi, il conferimento effettuato da una persona fisica non in regime d’impresa, realizza una plusvalenza (o minusvalenza) imponibile costituita dalla differenza tra il corrispettivo percepito e il costo fiscalmente riconosciuto della partecipazione conferita, il quale deve essere quantificato al c.d. “valore normale”[3]. Tuttavia, l’art. 177, c. 2, Tuir, prevede una deroga alla natura realizzativa del conferimento. Le azioni o quote ricevute a seguito dell’operazione, mediante le quali la società conferitaria acquisisce il controllo di diritto di un’altra società, ovvero ne incrementa la percentuale di controllo, sono valutate, ai fini della determinazione del reddito del conferente, in base alla corrispondente quota delle voci di patrimonio netto formato dalla società conferitaria per effetto del conferimento. In tale ipotesi si configura il c.d. conferimento a realizzo controllato, ciò in quanto i riflessi reddituali dell’operazione di conferimento in capo al conferente derivano dal comportamento contabile adottato dalla società conferitaria. Ne consegue che, qualora la conferitaria iscriva le partecipazioni al medesimo valore fiscale che le stesse avevano presso il conferente, l’operazione avverrà in regime di neutralità c.d. “indotta”. Come detto, per beneficiarie di tale regime è necessario che a seguito del conferimento il soggetto conferente acquisisca o integri il controllo di diritto sulla società conferitaria. È pertanto necessario che al momento del conferimento, il conferente disponga della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria ai sensi dell’art. 2359, c. 1, n. 1) c.c., ossia di una partecipazione pari almeno al 51% del capitale sociale. Nel caso in esame, l’Istante illustrava di essere titolare del 50% del capitale sociale, la restante parte invece era detenuta dalla comunione ereditaria venutasi a costituire tra gli eredi del socio deceduto. Poiché i componenti della comunione ereditaria intendevano dismettere la propria partecipazione nella società, l’Istante prospettava un’operazione di riorganizzazione societaria articolata in più fasi. In primis, l’acquisto da parte dell’Istante dell’1% della partecipazione nella società detenuta dalla comunione ereditaria al fine di acquisire il 51% della propria quota di partecipazione e dunque il controllo di diritto ai sensi dell’art. 2359 c.c. La suddetta partecipazione di controllo sarebbe poi stata conferita dall’Istante all’interno di una società di nuova costituzione unipersonale (“HoldCo”), con successivo trasferimento del controllo della holding alla propria figlia mediante patto di famiglia al fine di realizzare il passaggio generazionale. L’istante si riservava, inoltre, la possibilità di cedere in futuro la propria quota di partecipazione nella società a terzi, prospettando anche l’eventuale ipotesi di una cessione da parte di HoldCo della partecipazione nella società in esenzione pex[4]. Ciò posto, l’Istante domandava se la riorganizzazione societaria prospettata configurasse una fattispecie abusiva ai sensi dell’art. 10-bis della L. 212/2000. L’Agenzia delle Entrare (“AdE”) con la risposta in commento ha affermato la legittimità della precostituzione dei requisiti che consentono l’applicazione del regime del realizzo controllato. In particolare, secondo l’Agenzia l’acquisto da parte dell’Istante dell’1% delle quote della società al fine di raggiungere il controllo di diritto e il successivo conferimento della quota di maggioranza nell’azienda in una holding unipersonale in regime di realizzo controllato, non costituiscono una fattispecie abusiva in quanto funzionali a perseguire una più efficiente governance dell’azienda di famiglia. Si segnala, inoltre, che con la risposta in esame l’Agenzia conferma che l’holding period ai fini pex, in caso di eventuale successiva cessione delle partecipazioni da parte di HoldCo, soggiace all’ordinario termine di 12 mesi prescritto dall’art. 87 Tuir, trattandosi di un conferimento di controllo ai sensi dell’art. 177, c. 2 e non di un conferimento di minoranza ex art. 177, c. 2-bis Tuir. Nell’intervento di prassi, l’Agenzia non si esprime invece in merito ad eventuali profili abusivi connessi alla possibile cessione da parte di HoldCo della partecipazione di controllo in quanto meramente ipotetica. Quanto invece alla cessione della proprietà delle quote della holding alla figlia dell’Istante mediante patto di famiglia, l’Amministrazione si limita a rammentare che per beneficiare dell’esenzione di cui all’art. 3, c. 4 -ter, del TUS, i beneficiari del trasferimento (i.e. la figlia) dovranno detenere il controllo della società acquisita per un periodo non inferiore a 5 anni dalla data del trasferimento, e ciò anche se in via indiretta mediante il controllo di HoldCo. G.G. [1] Art. 177, c. 2, Tuir: “…le azioni o quote ricevute a seguito di conferimento in società, mediante i quali la società conferitaria acquisisce il controllo di una società ai sensi dell’art. 2359, primo comma, n. 1), del codice civile, ovvero incrementa, in virtù di un obbligo legale o di un vincolo statutario, la percentuale di controllo, sono valutate, ai fini della determinazione del reddito del conferente, in base alla corrispondente quota delle voci di patrimonio netto formato dalla società conferitaria per effetto del conferimento…”. [2] Art. 9, c. 5, Tuir: “…ai fini delle imposte sui redditi le disposizioni relative alle cessioni a titolo oneroso valgono anche per gli atti a titolo oneroso che importano costituzione o trasferimento di diritti reali di godimento e per i conferimenti in società…”. [3] Per valore normale s’intende il c.d. valore di mercato, ossia il prezzo mediamente praticato per i beni e servizi della stessa specie o similari, in condizioni di concorrenza e al medesimo stato di commercializzazione. [4] Art. 87 Tuir