Il regime fiscale di tassazione degli OICR extra-UE rispetto agli omologhi italiani e europei integra un trattamento discriminatorio. Nello specifico, l’applicazione dell’aliquota convenzionale ai dividendi di fonte italiana percepiti da un OICR statunitense, se paragonata al regime fiscale degli OICR domestici, lede il principio della libera circolazione dei capitali di cui all’art. 63 del TFUE il quale può essere invocato anche da operatori di Stati terzi. Questo principio, il cui riconoscimento da parte della Suprema Corte era da tempo atteso, è stato affermato nell’ambito della Cass., Sez. V, Sent. 06/07/2022, n. 21454 (“Sentenza” o “Pronuncia”). Come noto l’art. 63 del TFUE vieta “tutte le restrizioni ai movimenti di capitali tra Stati membri, nonché tra Stati membri e paesi terzi”. In ossequio a tale principio gli Stati membri non possono introdurre misure di carattere fiscale che, determinando un trattamento discriminatorio tra soggetti residenti e soggetti non residenti, ledano il principio di libera circolazione dei capitali e disincentivino gli investimenti diretti all’estero rispetto a quelli domestici. La fattispecie oggetto della Pronuncia scaturisce dal diniego tacito dell’Amministrazione avverso la richiesta di rimborso avanzata da un fondo d’investimento mobiliare di diritto statunitense (“Fondo”) in relazione al differenziale tra la ritenuta convenzionale applicata sui dividendi di fonte italiana percepiti (pari al 15%) e il regime fiscale applicabile, ratione temporis, agli omologhi fondi domestici (imposta sostitutiva del 12,5% sul risultato annuale di gestione). Promosso ricorso avverso il silenzio dell’Ufficio, il Fondo è risultato soccombente dinnanzi alle competenti Corti territoriali e, all’esito dei gradi di merito, ha adito la Corte di Cassazione. La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso. In particolare, secondo la Corte di Cassazione, la residenza extra-UE del ricorrente “non preclude a priori la rilevanza […] dell’art. 63, primo comma TFUE” in quanto la libera circolazione dei capitali, per espressa previsione normativa, trova applicazione anche nei confronti di soggetti extra-UE. In secondo luogo, il fatto che in concreto la discriminazione denunziata discenda dall’applicazione di una norma convenzionale, secondo i Giudici di legittimità, non preclude una valutazione della fattispecie alla luce della libera circolazione dei capitali. Infatti, occorre “considerare il ruolo del diritto comunitario, il quale entra in gioco come terza dimensione nella geometria dell'ordinamento giuridico e svolge la sua influenza, pur con differente intensità, anche nell'interpretazione ed applicazione di trattati internazionali conclusi da Paesi membri della Comunità Europea, tra loro e con Paesi terzi”. Coerentemente, anche in relazione alle convenzioni stipulate con Stati terzi, “l'applicazione delle norme convenzionali nell'ambito intra - comunitario e dell'ordinamento dello Stato membro contraente incontra i limiti del principio di non discriminazione e del rispetto delle libertà fondamentali garantite dal Trattato” tra le quali è da annoverarsi, appunto, la libera circolazione dei capitali. Di conseguenza, procede la Corte, sia il giudice nazionale che la pubblica amministrazione sono tenuti ad “interpretare le disposizioni convenzionali in modo conforme al diritto comunitario e, nei casi in cui tale interpretazione conforme non sia possibile, a trarre tutte le conseguenze che derivano dal contrasto tra le norme dei due ordini, prima fra tutte l'obbligo di disapplicare le norme (interne o di diritto internazionale pattizio) contrastanti con le disposizioni e principi di diritto comunitario”. All’esito delle suesposte argomentazioni la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso rinviando la decisione alla competente Corte territoriali enucleando il seguente principio di diritto: “In tema di ritenute applicabili sui dividendi distribuiti, negli anni dal 2007 al 2010, da società residenti in Italia a fondi d’investimento mobiliare residenti negli Stati Uniti, l’art. 10, par. 2, lett. b) della Convenzione Italia U.S.A., per il quale l’imposta applicata dallo Stato di residenza della società che paga i dividendi “non può eccedere il 15 per cento dell’ammontare lordo”, va interpretato - secondo il canone di buona fede ex art. 31 del Trattato di Vienna ed i principi della fiscalità̀ comunitaria ed internazionale, per evitare la violazione dell’art. 63 TFUE in tema di libera circolazione dei capitali tra Stati membri e paesi terzi- nel senso che anche ai dividendi pagati da società residenti ai fondi d’investimento mobiliare aperti statunitensi si applica l’aliquota del 12,5 per cento, cui erano assoggettati ratione temporis, sul risultato della gestione, i fondi comuni mobiliari aperti residenti ai sensi dell’art. 9, comma 2, l. n. 77 del 1983”. La sentenza in esame conferma la necessità di garantire la parità di trattamento rispetto agli OICR italiani anche ai fondi non UE. Tale conclusione dovrebbe peraltro trovare applicazione nonostante i mutamenti normativi sinora intervenuti. Infatti, la fattispecie oggetto del contenzioso si riferisca al regime fiscale degli OICR domestici prima dell’intervenuta modifica dell’art. 73 del TUIR. Ad ogni modo, i principi ivi enucleati ben potrebbero essere estesi al regime attuale[1]. G.P. [1] Con la L. n. 178 del 30 dicembre 2020, il legislatore è intervenuto modificando l’art. 27, c. 3 del D.P.R. 600/1973con l’effetto di allineare il regime fiscale degli OICR UE a quello degli omologhi italiani. Nonostante la l’estensione della libera circolazione dei capitali anche a Stati terzi, dal perimetro della riforma rimangono però tuttora esclusi gli OICR extra-UE.