Con l’ordinanza del 19 maggio 2022, n. 16112, la Corte di Cassazione ha stabilito che la costituzione di pegno sulle partecipazioni della controllata residente in un paese a fiscalità privilegiata non esclude il requisito del controllo da parte della controllante residente in Italia, quando la perdita dello stesso sia stata preordinata con finalità elusive per evitare l’imposizione per trasparenza. La vicenda origina dalla notifica ad una società italiana (la “controllante”) di un avviso di accertamento con cui l’Agenzia rettificava il reddito ai fini IRES, incrementando l’imponibile in virtù dell’imputazione per trasparenza ex art. 167 TUIR dei redditi della controllata indiretta estera (“CFC”). Quest’ultima era una società residente nelle Bahamas, paese a fiscalità privilegiata. Nell’anno oggetto di accertamento, la CFC era stata protagonista di alcune operazioni di compravendita di partecipazioni, come di seguito riepilogate: a) acquisto da E.I. dell’integrale partecipazione al capitale sociale di S.H.; b) rivendita delle stesse partecipazioni in S.H. a E.I. al medesimo corrispettivo; c) acquisto, da parte della CFC, del diritto di opzione su quelle stesse partecipazioni, a fronte di un prezzo da corrispondersi a E.I. entro il 1° marzo 2005 e il cui pagamento era stato garantito con costituzione di pegno sulle azioni della CFC concesso dalla sua controllante diretta con sede in Madeira (a sua volta controllata dalla società italiana). Il pegno comprendeva l’esercizio del diritto di voto nell’assemblea della CFC. Questa successione di operazioni era stata elaborata, secondo l’Agenzia, al solo fine di interrompere, per l’anno di imposta accertato, il rapporto di controllo indiretto sussistente tra la società italiana e la CFC. Infatti, venendo meno l’esercizio della maggioranza dei voti nella CFC ex art. 2359 c.c., non sarebbe risultato applicabile l’art. 167 TUIR. Di conseguenza, pur in presenza di tutti gli ulteriori presupposti applicativi di questa disciplina[1], i redditi della CFC per l’anno accertato non sarebbero stati imputati per trasparenza alla controllante italiana. L’Ufficio contestava questi effetti, asserendo l’elusività dell’operazione complessiva descritta. All’esito di un doppio grado di giudizio di merito favorevole alla contribuente, l’Agenzia ricorreva per cassazione contro la sentenza di secondo grado, denunciando, tra le altre cose, la violazione e la falsa applicazione degli artt. 167 TUIR e 37bis del dpr 600/1973. La Cassazione ha accolto il ricorso dell’Ufficio. In particolare, i giudici di legittimità hanno valorizzato il richiamo, ad opera dell’ultimo comma dell’art. 167 TUIR, al D.M. 21 novembre 2001, n. 429, il quale all’art. 3, c. 7, afferma che “per i comportamenti posti in essere allo scopo del frazionamento del controllo o della perdita temporanea dello stesso ovvero della riduzione dei redditi imputabili, si applicano le disposizioni degli artt. 37, c. 3, e 37-bis del dpr 600/1973”. Il rinvio, da parte del decreto ministeriale, alla disciplina dell’abuso del diritto (di cui all’art. 37bis vigente ratione temporis e da individuare ora nell’art. 10bis della L. 212/2000) è dirimente per il caso di specie. La Suprema Corte ha infatti osservato l’assenza di sostanza economica nelle operazioni di compravendita di partecipazioni e di costituzione di pegno, le quali non avevano generato vantaggi diversi da quelli fiscali, ma erano state finalizzate esclusivamente “ad escludere l'applicazione dell'imputazione per trasparenza, ai sensi dell'art. 167 cit., dei redditi della società controllata”. Le conclusioni rassegnate dai giudici di legittimità appaiono certamente condivisibili. In effetti, le operazioni poste in essere dalla CFC (a maggior ragione se realizzate nel corso di un solo anno) difficilmente potevano spiegarsi altrimenti che con una temporanea perdita del controllo finalizzata ad impedire l’imposizione per trasparenza. In altre parole, era chiaro il disegno elusivo che aveva mosso i soggetti coinvolti. L’analisi della pronuncia in commento costituisce inoltre occasione utile per valutare gli effetti del pegno sulle partecipazioni della CFC. Il parallelismo con le indicazioni dell’Agenzia sul pegno nel regime del consolidato fiscale[2] (da ritenersi valide anche in tale contesto) porta a concludere che la costituzione di tale diritto di garanzia può determinare effetti diversi sull’applicazione dell’art. 167. Ci si potrebbe infatti chiedere se laddove alla costituzione di un diritto di pegno non segua un esercizio effettivo, da parte del creditore pignoratizio, della maggioranza dei diritti di voto nell’assemblea della controllata, la disciplina sulla CFC risulti comunque applicabile (similarmente a quanto affermato dall’Ufficio in tema di consolidato per cui, in questi casi, la tassazione di gruppo non si interrompe). Ove invece l’esercizio del diritto di voto, da parte del creditore pignoratizio, sia effettivo, non dovrebbe determinarsi la tassazione per trasparenza dei redditi della controllata, stante la sopravvenuta carenza del requisito del controllo. Ciò a meno che, come testimoniato dall’ordinanza in commento, la carenza di tale requisito non sia stata preordinata con finalità elusive. A.P. [1] In sintesi, residenza in un paese black list, cc.dd. tax rate test e passive income test, in assenza dell’esimente di cui al comma 5 (esercizio di un’attività economica effettiva). [2] Si veda Circolare n. 40/E/2016.