Compensi corrisposti a relatori esteri nell’ambito di convegni

Con la risposta n. 266/2022 emessa lo scorso 17 maggio, l’Agenzia delle Entrate (“AdE”) ha chiarito il trattamento dei compensi (omnicomprensivi) pagati da una Società residente a “relatori” non residenti per il loro intervento da remoto a convegni.

Il caso di specie verteva sull’attività di relatori che curavano, a favore di un’impresa italiana, lo svolgimento di relazioni scientifiche di alto livello, in forma orale, preparando contestualmente del materiale didattico. Il materiale veniva esposto nell’ambito di interventi di video lettura.

La questione è di interesse in quanto molteplici sono le norme che in astratto potrebbero essere ritenute applicabili nella fattispecie in esame. Molte sono le tematiche da risolvere (territorialità del reddito estero, differenza tra prestazione di lavoro e prestazione intellettuale). Il lavoro di perimetrazione svolto dall’AdE nella fattispecie in esame è senza dubbio degno di nota.

Come noto, infatti, i soggetti non residenti sono imponibili solo per i redditi prodotti nel territorio dello Stato (art. 23 TUIR). I redditi di lavoro autonomo si considerano prodotti nello Stato se le attività sono ivi svolte (art. 23, lett. d). Infine, il reddito relativo al cd. “know how”, cioè, in via di estrema banalizzazione, al trasferimento di conoscenze, è imponibile in Italia se il relativo compenso è corrisposto da un soggetto italiano[1] (cfr. art. 23, c. 2).

E’ pacifico che il lavoro svolto dall’estero, in quanto tale, non dovrebbe essere imponibile. Ciò sia in base alla disciplina interna che in base disciplina convenzionale applicabile.

Il dubbio interpretativo prospettato dall'Istante riguarda la possibilità che il materiale prodotto dal relatore possa essere qualificato come know how, come tale imponibile in base alla residenza di chi corrisponde il compenso (cioè nel caso di specie in Italia).

Al riguardo, nel commentario OCSE viene precisato che, per poter essere qualificate come know how, le informazioni cedute devono essere suscettibili di uno "sfruttamento economico" da parte di chi li utilizza. A fronte dello sfruttamento delle informazioni l'utilizzatore deve, dunque, poterne ricavare un beneficio, a fronte del quale corrisponde una royalty. Nella fattispecie in esame secondo l’AdE, i relatori non diffondono un know how nel senso sopra esposto, quanto piuttosto forniscono una prestazione professionale di tipo divulgativo a carattere scientifico che costituisce un'attività di lavoro autonomo (anche occasionale) prestata da soggetti non residenti. In questo contesto, il materiale diffuso e ceduto dai relatori viene visto come una sorta di “elemento accessorio” all’attività di relatore, pertanto riconducibile alla medesima categoria reddituale. Ciò posto, si ritiene che la ritenuta sui compensi/corrispettivi erogati ai relatori non residenti, sia titolari che non di partita IVA, debba essere applicata solo nei casi in cui gli stessi svolgano la loro attività sul territorio italiano.

In assenza di ulteriori indicazioni, le medesime regole dovrebbero applicarsi anche al fine di delimitare la nozione di reddito estero rilevante ai fini dell’applicazione di regimi di favore quali ad esempio quello previsto dall’art. 24 bis TUIR (il regime dei cd. “paperoni”) o il rientro dei cervelli (di cui al D.L. n. 34/2019, art. 5, c. 5 ter). Per i cd. “paperoni”, l’attività del relatore, prestata all’estero, in base all’impostazione della risposta in esame, dovrebbe qualificarsi come reddito estero soggetto alla tassazione forfettaria. Per la medesima ragione, la medesima attività estera, non costituendo un reddito di fonte italiana non dovrebbe essere soggetto ai vantaggi della disciplina in tema di rientro dei cervelli.

F.N.


[1] Ai fini dell'applicazione della ritenuta da parte dei sostituti d'imposta che corrispondono tali compensi, l'articolo 25, comma 1 del d.P.R. n. 600 del 1973 prevede che «i soggetti indicati nel primo comma dell'art. 23, che corrispondono a soggetti residenti nel territorio dello Stato compensi comunque denominati (...) anche per prestazioni di lavoro autonomo, ancorché non esercitate abitualmente (...) devono operare all'atto del pagamento una ritenuta del 20% a titolo di acconto di imposta (...) con l'obbligo di rivalsa». Il successivo comma 2 dispone che «se i compensi e le altre somme di cui al comma precedente sono corrisposte a soggetti non residenti, il sostituto d'imposta che eroga gli stessi deve operare una ritenuta a titolo d'imposta nella misura del 30 per cento, anche per le prestazioni effettuate nell'esercizio di impresa. Ne sono esclusi i compensi per prestazioni di lavoro autonomo effettuate all'estero». Dunque, il compenso per una prestazione di lavoro autonomo effettuata da un soggetto non residente deve essere assoggettata all'applicazione di una ritenuta a titolo d'imposta pari al 30 percento applicata dal sostituto d'imposta solo se svolta sul territorio dello Stato.

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