Ricorre un’ipotesi di esterovestizione quando una società localizzi la propria residenza fiscale all’estero al solo fine di fruire di un regime fiscale più vantaggioso. La natura antielusiva dell’esterovestizione, infatti, presuppone che l’Agenzia provi che la fittizia localizzazione estera della residenza fiscale è motivata dall’ottenimento di un vantaggio fiscale indebito. Tale principio, già formulato in precedenza, è stato recentemente ribadito dalla Corte di Cassazione nell’ambito dell’ordinanza, sez. V dell’11 febbraio 2022, n. 4463 (“Ordinanza”). La fattispecie esaminata concerne una società di diritto lussemburghese (“Alfa”) – che svolge l’attività di detenzione e gestione delle partecipazioni delle controllate estere. L’Agenzia, contestando la fittizia localizzazione estera della residenza fiscale di Alfa, aveva rideterminato l’imponibile IRES e IRAP relativo all’anno 2006. Secondo la Corte di Cassazione, “ricorre l'ipotesi di esterovestizione allorché una società, la quale ha nel territorio dello Stato la sede dell'amministrazione, da intendersi come luogo in cui si svolge in concreto la direzione e gestione dell'attività di impresa e dal quale promanano le relative decisioni, localizzi la propria residenza fiscale all'estero al solo fine di fruire di una legislazione tributaria più vantaggiosa”[1]. Dovendosi pertanto inscrivere l’esterovestizione nell’ambito dell’abuso del diritto, l’operazione di fittizia localizzazione all’estero della residenza fiscale deve risultare nell’ottenimento di un vantaggio fiscale. Tale fenomeno, inoltre, nel contesto euro-unionale, deve essere valutato alla luce dei principi e delle libertà fondamentali sancite dal trattato tra le quali, in questo caso, spicca sicuramente la libertà di stabilimento. Come affermato dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europa (“CGUE”)[2], il fenomeno della localizzazione estera della residenza fiscale di una società deve essere coordinato con la libertà di stabilimento di talché “la circostanza che una società sia stata creata in uno Stato membro per fruire di una legislazione più vantaggiosa non costituisce per se stessa un abuso di tale libertà; una misura nazionale che restringe la libertà di stabilimento è ammessa soltanto se concerne specificamente le costruzioni di puro artificio finalizzate ad eludere la normativa dello Stato membro interessato”. Esigenze di coordinamento tra la disciplina domestica dell’esterovestizione e la libertà di stabilimento impongono dunque che eventuali restrizioni di quest’ultima in forza della prima debbano essere finalizzate ad impedire operazioni che si realizzino in costruzioni puramente artificiose, prive di effettività economica e precipuamente finalizzate all’ottenimento di un vantaggio fiscale contrario all’ordinamento. G.P. [1] Cass., 21 giugno 2019, n. 16697. [2] CGUE 12 settembre 2006, in causa C-196/04, Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas.