La risposta a interpello del 29 dicembre 2021, n. 873, esamina il caso di un’operazione di fusione per incorporazione realizzata tra due società, entrambe residenti in Francia e prive di stabile organizzazione in Italia. La società incorporante deteneva il 100% dell’incorporata. Quest’ultima, a sua volta, deteneva alcune partecipazioni in società italiane (“Partecipazioni italiane”). La fusione era fiscalmente neutrale in Francia. L’Agenzia delle entrate (“Agenzia”) osserva preliminarmente che, ai sensi della Convenzione contro le doppie imposizioni stipulata tra Italia e Francia, l’Italia è in linea di principio titolare della potestà impositiva sui plusvalori derivanti dall’eventuale trasferimento delle Partecipazioni italiane. La Convenzione citata, infatti, stabilisce in via generale che l'alienazione di quote societarie italiane da parte di un soggetto francese è imponibile esclusivamente in Francia (cfr. articolo 13, par. 4). Tuttavia, il paragrafo 8, lett. b), del relativo Protocollo attribuisce potestà impositiva all’Italia in relazione a partecipazioni in società italiane superiori al 25 per cento del capitale. L’imponibilità in Italia della cessione delle Partecipazioni italiane è tuttavia subordinata all’esistenza in concreto di una normativa interna che ne preveda la tassazione. Ciò posto, occorre dunque stabilire se l’operazione di fusione tra le due società di diritto francese possa essere considerata fiscalmente rilevante secondo l’ordinamento italiano. Come rilevato dall’Agenzia, infatti, la neutralità fiscale delle operazioni di fusione comporterebbe l’applicazione del c.d. tax deferral o differimento dell’imposizione, per cui la tassazione del plusvalore sulle partecipazioni nelle società italiane è rinviata a una eventuale cessione futura delle quote da parte della società incorporante. Viceversa, considerare la fusione realizzativa sul piano fiscale comporterebbe la tassazione immediata della plusvalenza in Italia, ex art. 23, c. 1, lett. f), del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (“TUIR”). L’operazione in esame non è soggetta al regime di neutralità di cui alla direttiva 2009/133/CE (c.d. “Direttiva fusioni”). La Direttiva fusioni, infatti, trova applicazione solo con riferimento alle operazioni intercorrenti tra società residenti in due o più Stati membri dell’Unione europea. Al contrario, nel caso di specie la fusione riguarda, come detto, due società entrambe residenti in Francia. In ogni caso, tale circostanza non esclude che la fusione in esame possa essere comunque soggetta al regime di neutralità di cui all’art. 172 del TUIR. La disciplina in materia di fusioni, infatti, nel prevedere un regime di neutralità fiscale con riguardo ai beni delle società incorporate o fuse, non discrimina in merito alla residenza delle società coinvolte. Detto principio era stato, peraltro. già formulato dall’Agenzia nella risoluzione 3 dicembre 2008, n. 470/E. In tale risoluzione, l’Agenzia aveva ritenuto che il principio in questione fosse confermato dalle disposizioni contenute nell’art. 176 del TUIR. In base a tale norma, il regime di neutralità fiscale ivi previsto per i conferimenti di azienda è applicabile anche nel caso in cui “il conferente o il conferitario è un soggetto non residente, qualora il conferimento abbia ad oggetto aziende situate nel territorio dello Stato” (art. 176, c. 2, del TUIR). Con tale previsione, il legislatore ha ritenuto “opportuno estendere il regime di neutralità fiscale di cui all’articolo 176 del Tuir, attualmente valevole solo per i conferimenti d’azienda, ovunque collocate, tra soggetti residenti, anche ai conferimenti tra soggetti non residenti (in particolare, i soggetti residenti in paesi extra UE) di aziende collocate in Italia”. I medesimi principi, secondo la risoluzione citata, trovano applicazione anche con riferimento all’art. 172 del TUIR, in tema di fusioni, pure in assenza di una disposizione analoga a quella di cui all’art. 176, c. 2, del TUIR. La previsione espressa di tale principio, infatti, nell’art. 176 del TUIR trova la propria ragion d’essere nel fatto che il conferimento non è un’operazione di per sé neutrale dal punto di vista fiscale; tale neutralità è la conseguenza di una esplicita scelta legislativa. Le fusioni, invece, a differenza del conferimento, anche dal punto di vista civilistico sono intrinsecamente neutrali. Con riferimento alla fusione, dunque, il principio di neutralità deve operare con riferimento ai soggetti non residenti anche in assenza di una esplicita previsione in tal senso. Peraltro, sempre in coerenza con la citata risoluzione 3 dicembre 2008, n. 470/E, l'Agenzia subordina la neutralità della fusione tra società estere alla sussistenza delle seguenti tre condizioni: Nel caso di specie, tali condizioni vengono ritenute rispettate dall’Agenzia. In primo luogo, l’Agenzia reputa che “l’operazione sia qualificabile come fusione secondo la definizione recata dall'articolo 2501 e seguenti del codice civile italiano”. Inoltre, le medesime società “rivestono due forme giuridiche omologhe a quelle previste per le società di diritto italiano”. Infine, l’operazione produce effetti in Italia sulla posizione fiscale dei soggetti coinvolti. Infatti, le Partecipazioni italiane vengono trasferite dal patrimonio dell’incorporata a quello della società istante. Alla luce di quanto sopra esposto, pertanto, l’Agenzia conclude confermando la neutralità fiscale nell’ordinamento italiano della predetta fusione. R.C.