La Corte di cassazione, con l’ordinanza in commento, esamina il tema del riparto dell’onere della prova in una controversia in materia di transfer pricing delle operazioni finanziarie. Il caso di specie trae origine da un avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle Entrate nei confronti di una società italiana appartenente a un gruppo multinazionale, per recuperare a tassazione IRES gli interessi attivi su finanziamenti erogati a favore di una società “veicolo” estera, appartenente al medesimo gruppo. Nello specifico, la controllante residente aveva finanziato la controllata estera al fine di acquisire una partecipazione indiretta di una terza società, residente in Cina. La Commissione tributaria regionale della Lombardia[1] aveva accolto le istanze della contribuente. I giudici di secondo grado assumevano la natura antielusiva della disciplina in tema di prezzi di trasferimento. Di conseguenza, l’Amministrazione finanziaria doveva provare il concreto vantaggio ottenuto dal contribuente. Non era sufficiente, a tale riguardo, quanto dimostrato dall’Amministrazione finanziaria nel caso di specie (e cioè la sussistenza di un'operazione infragruppo, e l'erogazione di un finanziamento gratuito, a fronte di analoghi finanziamenti concessi a titolo oneroso dalla contribuente ad altre società del gruppo). Peraltro, la Commissione aveva in ogni caso ritenuto che le giustificazioni addotte dalla società capogruppo italiana circa l’azzeramento del tasso d’interesse pattuito con la propria controllata fossero sufficienti a integrare la prova contraria spettante al contribuente. Tale prova, in particolare, nel caso in oggetto, consisteva nella dimostrazione che la mancanza di un corrispettivo per i finanziamenti infragruppo corrisponde ai valori economici che il mercato attribuisce a tale tipo di operazione. La Suprema Corte, investita della questione, evidenzia che la normativa interna in materia di prezzi di trasferimento, ex articolo 110, comma 7, del testo unico delle imposte sui redditi di cui al d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (“T.U.I.R.”) non integra una disciplina antielusiva in senso proprio. La normativa in questione è infatti finalizzata alla repressione del fenomeno economico del transfer pricing (spostamento d'imponibile fiscale a seguito di operazioni tra società appartenenti al medesimo gruppo e soggette a normative nazionali differenti) in sé considerato. Ciò a prescindere dal concreto vantaggio conseguito dal contribuente. Per tale ragione, l’onere della prova gravante sull'Agenzia delle Entrate non riguarda la maggiore fiscalità nazionale o il concreto vantaggio fiscale conseguito dal contribuente, ma solo l'esistenza di transazioni, tra imprese collegate, a un prezzo apparentemente inferiore a quello normale. Invece, incombe sul medesimo contribuente, giusta le regole ordinarie di vicinanza della prova ex art. 2697 c.c., l'onere di dimostrare che tali transazioni siano intervenute per valori di mercato da considerarsi “normali” alla stregua di quanto specificamente previsto dall’art. 9, co. 3, del T.U.I.R.. Sulla base di ciò, la Corte cassa con rinvio la sentenza del giudice di merito, fissando il seguente principio di diritto: “In materia di transfer pricing internazionale (art. 110 t.u.i.r., comma 7), e in applicazione del criterio di riparto dell'onere della prova (art. 2697 c.c.), in caso di finanziamento infragruppo, erogato dalla controllante italiana a una società "veicolo" estera, l'Amministrazione finanziaria deve fornire la prova della transazione ad un tasso d'interesse apparentemente inferiore a quello "normale", quale presupposto della ripresa a tassazione degli interessi attivi sul finanziamento, in tutto o in parte non corrisposti, quantificati in base al tasso d'interesse di mercato (osservabile in relazione a finanziamenti aventi caratteristiche sufficientemente comparabili, erogati a soggetti con il medesimo credit rating dell'impresa debitrice associata), la cui determinazione è quaestio facti demandata al giudice di merito; dopodichè, spetta alla società contribuente fornire la prova contraria, dimostrando l'aderenza del tasso d'interesse applicato ai tassi di mercato, nel senso che identica transazione tra imprese indipendenti operanti nel libero mercato sarebbe avvenuta alle stesse condizioni finanziarie; oppure, dimostrare che il finanziamento gratuito è dipeso da "ragioni commerciali" interne al gruppo, connesse al ruolo assunto dalla controllante a sostegno delle consociate”. Con ogni probabilità la pronuncia della Suprema Corte avrà un impatto limitato nel caso di specie. Secondo la sentenza di secondo grado oggetto di impugnazione, difatti, il contribuente aveva in ogni caso adempiuto l’onere di provare la conformità al valore normale dei prezzi praticati. Di conseguenza, è verosimile che il giudice del rinvio riterrà che l’onere addossato dalla Suprema Corte al contribuente sia stato in ogni caso, adempiuto. Sotto tale profilo, valorizzando il contenuto della sentenza di secondo grado, la Corte di Cassazione avrebbe forse potuto decidere autonomamente, senza operare alcun rinvio. Ad ogni modo, l’ordinanza in esame risulta di sicuro interesse in quanto, da un lato, conferma la natura non antielusiva della disciplina in tema di transfer pricing; dall’altro lato, conferma l’ampio onere probatorio gravante, nella disciplina in esame, sul contribuente in base al principio di “vicinanza” alla prova. RC [1] C.T.R. Lombardia, sezione 02, sentenza 29 maggio 2017, n. 3773/02/17.